Il Porto di Bari è una fogna a cielo aperto. I giudizi sulla disastrosa gestione dello scalo barese espressi in questi mesi di approfondimenti giornalistici non hanno nulla a che fare con quanto documentano queste impietose immagini. Carta igienica, feci, urina, pannolini e altri rifiuti buttati in chissà quali water fininscono in mare, esattamente alla banchina Massi. Alzando lo sguardo si vede la stazione marittima dei traghetti. Del poderoso scarico di liquami e altri rifiuti sono a conoscenza tutti all’interno dell’area demaniale. Del resto, tutta quella merda finisce in mare proprio davanti alla sede dei Vigili del Fuoco, che hanno informato più e più volte la Capitaneria e l’Autorità Portuale.

Invece di risolvere questo problema, oppure quest’altro scarico a mare abusivo, o ancora l’inquinamento causato dalla demolizione delle carcasse contenute in ciò che resta dell’altra bomba ecologica: la Norman Atlantic, ci si accanisce contro un’azienda, la Pamar. Tutto bloccato da ottobre scorso perché la Pamar non ha ultimato l’impianto di dilavamento delle acque del piazzale. Un’area di circa 5mila metri quadri e il relativo specchio d’acqua di circa 800 metri.

Il cantiere era usato per la riparazione e il rimessaggio di natanti, anche quelli sequestrati dai giudici del Tribunale di Bari o addirittura dalla Guardia di Finanza per ormeggiare imbarcazioni momentaneamente inutilizzabili. Due pesi e più misure, soprattutto perché ad altre aziende, al contrario della Pamar, sarebbe consentito lavorare e inquinare. In attesa di fare chiarezza sulla vicenda, una decina di famiglie navigano nelle acque agitatissime della crisi. Una crisi che non ha niente a che fare con la difficile congiuntura economica, piuttosto con la difficoltà di vivere a Bari.