Gianpaolo Tarantini è un uomo distrutto. La sentenza del tribunale di Bari che lo ha condannato a sette anni e dieci mesi lo ha sconvolto. Vuole leggere attentamente le carte ma annuncia già il ricorso in appello.

«Sono sconvolto – dice con un filo di voce l’imprenditore barese – non me l’aspettavo. È una condanna altissima. Adesso leggeremo attentamente le motivazioni e vedremo cosa fare. Sono dispiaciuto soprattutto del fatto che, dopo la mia collaborazione, non mi abbiano riconosciuto le attenuanti generiche. Per fortuna sono cadute le accuse di associazione a delinquere e di favoreggiamento della prostituzione ma davvero non capisco la sentenza».

«Non mi aspettavo una condanna così alta – continua Tarantini – in verità, pensavo di essere assolto. Altrimenti avrei patteggiato o chiesto il rito abbreviato. Il reato di prostituzione innanzitutto lo devi provare. Ma poi ci sono delle condizioni essenziali affinché si possa parlare di prostituzione: condizionamento, suggestione, obbligare con violenza, trarre dei vantaggi economici. Cose che io non ho mai fatto e mai ho pensato di fare».

Poco dopo la lettura della sentenza Patrizia D’Addario ha accusato un malore. «Mi dispiace – commenta Tarantini – umanamente mi dispiace come mi dispiacerebbe per qualsiasi altra persona. Continuo però a non capire il suo accanimento. Ha fatto tutto lei. Ha detto che era una escort, poi ha detto che non era più una escort, poi ha cavalcato l’onda dei media e infine ha chiesto i danni. Quando in realtà l’unica che ha tratto vantaggio da questa storia è proprio lei. È andata in televisione, ha fatto interviste, ha scritto un libro, ha indubbiamente tratto dei vantaggi economici da questa faccenda. Non capisco perché avrebbero dovuto riconoscerle anche i danni. Se ti esponi mediaticamente accetti le conseguenze, altrimenti vai dai magistrati e racconti le tue cose solo a loro».