Otto anni e sei mesi di reclusione e 6mila euro di multa, è la condanna chiesta per il boss Antonio Di Cosola imputato nel processo “Caro estinto” sul presunto giro di tangenti nelgli affari per l’organizzazione dei funerali.

«Non ho mai chiesto soldi a nessuno – ha detto Di Cosola durante il collegamento in videoconferenza dal carcere di Sassari dove è detenuto – state imbrogliando le carte pur di condannarmi per cose che non ho fatto». I fatti risalgono ad ottobre del 2006, Di Cosola è accusato di aver costretto gli infermieri in servizio nell’obitorio dell’ospedale Di Venere a segnalare il decesso di persone ricoverate alla ditta di Rosa Porcelli «avvalendosi di minacce e della forza intimidatrice del gruppo, oltre che della capacità di controllo del territorio e della possibilità di contare sull’omertà delle vittime».

Secondo la Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, a far da tramite fra il boss e gli infermieri sarebbe stato Pellegrino Labellarte, il pm Lidia Giorgio ha chiesto per lui 5 anni e 6 mesi di reclusione. Per gli infermieri Francesco Perrini e Francesco Lattanzi, in servizio al Policlinico di Bari all’epoca dei fatti e accusati di peculato per essersi appropriati di materiale sanitario conservato nell’obitorio, il pm ha chiesto rispettivamente 2 anni e 1 anno 8 mesi di reclusione.

Per gli altri 43 imputati nel processo, accusati a vario titolo di associazione per delinquere, concussione, corruzione, abuso d’ufficio, peculato, estorsione e truffa, i reati sono caduti in prescrizione. Secondo le indagini dei Carabinieri, gli addetti dell’obitorio comunicavano in tempo reale ai proprietari e ai collaboratori delle agenzie i decessi in cambio di denaro, una cifra tra i 250 e i 650 euro.

La sentenza dovrebbe essere emessa il prossimo 21 settembre.