I Carabinieri  del Comando provinciale di Bari stanno eseguendo numerosi arresti a carico di esponenti del potente clan mafioso che fa capo ai Di Cosola. Le richieste cautelari sono state richieste dalla Direzione distrettuale antimafia. Le indagini, condotte dai militarti del Reparto operativo barese, sono partite da un grave pestaggio subito da un imprenditore nel dicembre 2013, per il quale erano già stati arrestati d’urgenza sette affiliati al clan.

Gli arrestati sono:  il pregiudicato Dino Bergamasco, 41 anni e residente a Varese; Cosimo Di Cosola, sorvegliato speciale di Ceglie del Campo, vertice dell’organizzazione criminale, cosa di cui si faceva vanto e biglietto da visita; 43 anni; Carlo Giurano, pregiudicato 31enne di Bitritto; Adriano Pontrelli, pregiudicato 28enne, di Loseto e già rinchiuso nel carcere di Voghera; Daniele Pellegrini, 25enne di Bitritto; Nicola Lorusso, 22enne del quartiere barese San Girolamo e un altro bitrittese, Sebastiano Petruzzelli, di 26 anni.

L’operazione, però, non ha mai scoraggiato i criminali, che si riorganizzarono rapidamente, ripartendo all’attacco di altri due imprenditori edili per ottenere denaro in cambio di protezione ai cantieri. Le somme erano riferite ai singoli lavori. Ogni cantiere aveva una sua tariffa, che variava da mille a 5mila euro e le estorsioni potevano anche essere cedute, al venir meno di un imprenditore, all’imprenditore successivo. Inoltre, il clan era in grado d’imporre manodopera e forniture, garantendosi così ulteriori guadagni e addirittura si comportava come uno Stato parallelo, con un proprio tribunale del lavoro, col compito di dirimere controversie nate sui cantieri.

L’inchiesta ha fatto emergere uno scenario inquietante. Anche le aste giudiziarie sono finite nel mirino del clan. Le indagini hanno persino documentato un blitz presso uno studio legale di Bari, allo scopo di pilotare un’asta finalizzata alla vendita forzata di alcuni lotti di terreno pignorati ad un familiare di uno degli appartenenti al sodalizio mafioso. Molti degli ordini per condizionare le aste partivano persino dal carcere, attraverso l’invio di messaggi in codice.