Bastava solo il nome a intimorire le vittime e se a questo si aggiungevano minacce di ogni genere, era fatta. Cosi, per diversi mesi, i presunti affiliati alla nota organizzazione criminale hanno tenuto sotto scacco un commerciante di Adelfia, titolare di un bar gravemente danneggiato prima da un incendio e poi – qualche mese dopo – da un attentato dinamitardo.

I carabinieri di Triggiano, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, hanno arrestato Cosimo Marino, 51 anni, il figlio Giulio, 31enne e la moglie, Lucia Accettura, 51 e il figlio Antonio Foggetti di 26, e poi Gaetano Moschetti di 30 anni. Le due donne hanno beneficiato degli arresti domiciliari. Giulio Marino, Foggetti e Moschetti si trovavano già in carcere. Cosimo Marino è stato arrestato nella giornata di ieri.

È stato il commerciante, ormai disperato, a denunciare la sua incredibile storia. L’uomo per ben tre volte è stato costretto a pagare il pizzo ad altrettanti soggetti appartenenti al clan Di Cosola. Le somme, riscosse mensilmente, servivano poi alla sussistenza dei familiari detenuti in carcere. La vittima, intimorita dal nome della famigerata organizzazione criminale e dalle minacce di pesanti e violente ritorsioni oltre che dalla garanzia di ricevere “protezione” da parte degli stessi, ha deciso di denunciare e collaborare con gli inquirenti.

Alcuni mesi di intercettazioni telefoniche hanno consentito di appurare il giro di estorsioni messo su dagli arrestati per finanziare i loro congiunti detenuti. Questo non fa altro che rafforzare il concetto di mutua assistenza e di appartenenza degli affiliati al clan. L’attività investigativa ha ricostruito la vicenda, scoprendo che la vittima aveva iniziato a pagare il pizzo di 500 euro al mese circa cinque anni fa, a favore dei familiari di Giulio Marino.

Improvvisamente, all’inizio del 2013, per divergenze interne all’ organizzazione criminale dei Di Cosola, era arrivato l’ordine di pagare ai familiari degli altri due detenuti. La cosa non era evidentemente piaciuta alla famiglia del primo e lo sgarro è stato punito con la bomba dell’aprile scorso. Il commerciante, terrorizzato, aveva così deciso di pagare il pizzo a tutti e tre per evitare il peggio, arrivando a sborsare 800 euro al mese mensili. La vittima, ormai al collasso, aveva deciso di chiudere l’attività commerciale e di fuggire da Adelfia per paura di cadere, insieme ai familiari, definitivamente nella spirale di violenza degli arrestati che rispondono di estorsione continuata in concorso con l’aggravante del metodo mafioso.
Nella stessa inchiesta ci sono anche due indagati a piede libero.