A febbraio scorso scoppiava lo scandalo delle tessere false del Popolo delle libertà: risultavano 139 iscritti al partito a loro insaputa. I finti tesserati, tutti residenti in Via Colaianni al civico 10, furono interrogati dalla Digos. Gli inquirenti, indagando, giunsero ad individuare Dario Papa come colui che aveva fornito dati personali dei finti iscritti, compiendo il reato di violazione della privacy.

Nello stesso periodo qualcuno provava a spostare grosse somme di denaro, circa 72 milioni di euro custoditi dalle Poste, in conti correnti nell’Est Europa. Fu il sistema di alert antiriciclaggio a bloccare l’illecito. Le indagini portarono ancora a Dario Papa, all’epoca dei fatti sollevato dal suo incarico. L’ex vicedirettore dell’ufficio postale avrebbe, secondo gli inquirenti, utilizzato le password in possesso del direttore e della specialista di sala consulenza che per questo, pochi giorni fa, si sono visti recapitare la lettera di licenziamento per omessa vigilanza.

«Prima di licenziare in tronco, bisogna appurare i fatti – spiega Vito Battista, segretario provinciale della Slc-Cgil (settore Poste) che sta seguendo la vicenda -abbiamo presentato ricorso al tribunale del lavoro, non vogliamo indicare colpevoli ora, ma l’azienda avrebbe dovuto sospendere i due lavoratori in attesa di accertare le responsabilità».

Dario Papa non è ancora stato ascoltato dai magistrati, che dovranno andare fino in fondo per trovare conferma di quelli che ora sono solo sospetti. Secondo la procura di Bari potrebbe esserci sotto di più, l’indagato potrebbe aver agito per conto di qualcuno e il sospetto è alimentato dalla contestualità delle due operazioni.

4 luglio 2012

Erica Introna