Quando l’ho vista sullo scaffale del grande ipermercato alla periferia di San Sebastiàn, la città dei paesi Baschi sull’oceano Atlantico in cui vivo da 12 anni, mi si è stretto il cuore – a dire il vero anche lo stomaco perché era l’ora di pranzo. L’orario perfetto per prenderla, aprire la confenzione (la carta l’ho tenuta per pagarla, si capisce) e addentarla senza pietà. Sì, senza pietà, senza scaldarla, con gli occhi chiusi per sfamare anche l’anima e quella nostalgia della mia terra che mi assale tutte le volte che qualcosa o qualcuno fa scattare il ricordo. I denti hanno staccato il primo pezzo e gli occhi erano chiusi come se stessi dando il bacio più intenso alla donna della mia vita. La focaccia è passione; è in assoluto l’elogio della baresità, più del polpo e della “tiedda” (papate, riso e cozze). Con gli occhi chiusi senza badare che, a causa del lungo viaggio per arrivare fino a me, è costata 2 euro e 49 centesimi. Per una volta si può fare a meno di stare attento al prezzo, anche perché da queste parti non sanno che in certi posti di Bari, con un euro (ora forse un euro e 50), hai un pezzone di quella delizia.

A me piace quella col bordo nero, croccante e bruciacchiato, ma la focaccia è focaccia, con tutte le varianti alla barese sul tema. L’ho vista vicino a uno snack qualunque e il calendario segnava ancora i giorni dei “filoni” al liceo e delle infrattate nei panifici: Violante, Amoruso, Magda. Gli altri non me li ricordo, pur essendo stato un gran cultore di quella processione al seguito della ruota delle meraviglie; tappa obbligata del percorso gastronomico benedetto da San Nicola. Sono passati troppi anni e anche il mio modo di mangiare è cambiato. Non si mangia male da queste parti, per carità, ma non è la stessa cosa. “Forte, Altamura”, c’era scritto sull’etichetta. Altamura, 22 chilometri da Palo del Colle, il paese da cui me se sono andato. E non importa se la focaccia che ho davanti agli occhi non è quella grondante di olio tipica del capoluogo; la focaccia che, come il panzerotto pomodoro e mozzarella, devi mangiare a gambe aperte, facendo ben attenzione alle scarpe, per evitare di essere travolto da olive e pomodori, magari prima di andare al lavoro o alla vigilia di un appuntamento importante. Tentazione sublime a cui non puoi resitere.

La focaccia tipica di Altamura è un’altra storia. Non gronda e non crocca, ma quanto è buona. Il primo morso è un tuffo nel passato; il secondo è un abbraccio al palato; al terzo inizi a fartene una ragione; al quarto è già finita. Quattro “mazzate”, quante gliene avreste date voi? Alla fine ho comprato farina, olio extravergine, pomodorini e olive. Torno a casa a completare la mia di focaccia. Ognuno ha la sua ricetta, il suo marchio di fabbrica. La massa ha lievitato abbastanza. Ho imparato a farmela da solo la focaccia, molto prima di vederla sullo scaffale del supermercato a 2mila chilometri di distanza da dove sono nato e cresciuto. La mia coperta di Linus.

Michele Loconte