L’alopecia androgenetica femminile è una patologia non infiammatoria, geneticamente determinata (cioè ereditaria), che colpisce circa il 50% delle donne nel corso della propria esistenza. Essa si manifesta con una progressiva acquisita visibilità più o meno marcata della cute della sommità del capo (vertice), dovuta ad un assottigliamento del fusto del capello al quale può aggiungersi, ma non sempre ciò avviene, una reale caduta dei capelli (più di 100 al giorno). L’assottigliamento è dovuto all’azione degli ormoni androgeni (testosterone nella sua forma più attiva: il diidrotestosterone) sui recettori presenti nel bulbo pilifero che in questo caso sono geneticamente più sensibili all’azione ormonale. Nella maggioranza dei casi i dosaggi ormonali rilevano tassi ematici nei limiti della norma, a meno che non si sia in presenza di patologie che inducano iperproduzione di ormoni androgeni quali, ad esempio, l’ovaio policistico.

L’alopecia androgenetica può manifestarsi in epoca peripuberale, dopo una gravidanza, dopo la menopausa con tre tipi di presentazione: pattern ad albero di natale (Christmas tree pattern), pattern tipo Hamilton, pattern tipo Ludwig. Il pattern ad albero di natale prevale nelle forme giovanili (in tal caso ha un andamento mediamente più grave) e si presenta con un diradamento della linea mediana di forma triangolare con la base verso l’attaccatura frontale del capillizio; il pattern tipo Hamilton, caratterizzato da una stempiatura e da un diradamento del vertice che ricordano le caratteristiche della calvizie maschile, prevale in menopausa ma nelle donne giovani è spesso correlato a turbe ormonali; nel pattern tipo Ludwig, valutabile in tre gradi di gravità, si rileva un diradamento diffuso di tutto il vertice.

La patologia può essere aggravata o scatenata da patologie e/o situazioni personali e/o stati carenzali quali ridotti livelli di ferro e/o di Vitamina D, alcune patologie tiroidee (attenzione: i prodotti dimagranti possono contenere sostanze che vanno ad interferire con l’attività tiroidea), disendocrinopatie, carenze alimentari, diete ipocaloriche e/o sbilanciate (tipo quelle che promettono rapidi e significativi dimagrimenti), il fumo, la dermatite seborroica, l’esposizione alle radiazioni ultraviolette natura o artificiali, lo stress (in genere 2-4 mesi dopo l’evento stressante), ecc. Da tenere presente, inoltre, che anche farmaci quali alcuni antidepressivi, preparati contro il colesterolo, betabloccanti, antimitotici, colchicina, interferone, ecc. possono aggravare o scatenare in soggetti predisposti l’alopecia androgenetica.

La diagnosi è generalmente clinica ma per seguirne l’andamento nel tempo e la risposta alle terapie, o per distinguerla da altre patologie che comportano diradamento e/o perdita dei capelli o, ancora, da altre forme di alopecia (seborroica, post partum, meccanica da trazione o tricotillomania, chimica da trattamenti estetici incongrui, ecc.) si può ricorrere alla osservazione in dermatoscopia, utilizzare il Tricoscan o praticare tests quali il tricogramma, pull test, wash test, tricometria, biopsia ed esame istologico, ecc. Le indagini ematochimiche e strumentali hanno lo scopo di evidenziare le patologie (distiroidismi, diabete, turbe ormonali, ecc.) e/o gli stati carenzali eventualmente in atto.

I trattamenti terapeutici oggi efficaci in una ottima percentuale di casi, da usare tassativamente ogni giorno per sempre, sono rappresentati dalle applicazioni locali di Minoxidil (potente vasodilatatore con effetti ipotensivi se assunto per via orale) e dalla somministrazione orale di Finasteride (inibitore della trasformazione del testosterone nella sua forma attiva, il diidrotestosterone; induce ricrescita in circa il 60% dei casi). Nelle donne in età fertile la finasteride deve sempre essere assunta assieme ad un contraccettivo. Possibile, ma generalmente meno efficace o del tutto inefficace, l’utilizzo locale o sistemico di altri antiandrogeni.

Il notare una abnorme perdita di capelli e la visibilità ad occhio nudo della cute del cuoio capelluto frequentemente scatena una condizione di stress psicologico anche molto intenso, con una certa (ma per mia esperienza non realmente significativa) prevalenza per i giovani e per il sesso femminile. Il soggetto tende a richiudersi in se stesso, ad isolarsi dal mondo, ad abbandonare gli studi o l’attività, a rifiutare qualsivoglia tentativo di approccio. E’ questa una situazione da non banalizzare (… crescendo gli passerà …), da non sottovalutare, ma da affrontare precocemente e seriamente con l’eventuale aiuto di un buon psicologo clinico ad evitare possibili, sgradevoli conseguenze.

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Specialista in Dermatologia e Malattie Sessualmente Trasmesse ed in Allergologia e Immunologia Clinica Primario Dermatologo dell’Osp. Casa Sollievo della Sofferenza- Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico di San Giovanni Rotondo (FG) dal 1/10/1980 al 31/05/2006. Docente a Contratto presso le scuole di Specializzazione in Dermatologia delle Università: Cattolica del Sacro Cuore di Roma, G.D’Annunzio di Chieti , A.Moro di Bari dal 1984 al 2006 Presidente Emerito dell’Associazione Dermatologi Ospedalieri Italiani (ADOI) Autore di oltre 300 tra pubblicazioni ed abstract di relazioni tenute in numerosi congressi nazionali ed internazionali della specialità, coautore di 6 ed editor di 4 volumi di dermatologia. Socio di numerose società scientifiche italiane ed internazionali tra cui American Academy of Dermatology, European Academy of Dermatology, SIDEMaST, ADOI, ecc.