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Dal 15 aprile scorso nella città di Khartoum, capitale del Sudan, l’esercito regolare guidato dal presidente Abdel Fattah al Burhan e le Forze di Supporto Rapido del generale Mohamed Hamdan Dagalo sono entrate in conflitto causando la morte di centinaia di persone tra militari e civili, oltre a migliaia di feriti. Dietro i ribelli ci sarebbe l’ombra del Gruppo Wagner, i mercenari russi che stanno combattendo la guerra di Vladimir Putin in Ucraina. Lo hanno rivelato il New York Times e la Cnn. Dagalo starebbe godendo del rifornimento di armi pesanti, compresi missili terra aria.

Accuse e smentite

Esisterebbe dunque un filo che collega Bakhmut a Khartoum, prontamente smentito dal leader del Gruppo Wagner, Yevgeny Prigozhin. “Respingiamo categoricamente le accuse circa un nostro coinvolgimento con il gruppo Wagner nell’attuale conflitto in Sudan” si legge invece nel profilo ufficiale delle Forze di Supporto Rapido su Twitter. Le milizie guidate dal generale Dagalo respingerebbero le accuse e sosterrebbero che ad essere riforniti da forze straniere sarebbero proprio gli uomini del presidente al Burhan.

Armi, oro, controllo regionale

Che i mercenari al servizio di Prigozhin abbiano svolto un ruolo cruciale nelle lotte intestine di alcune parti dell’Africa è abbastanza trasparente. Meno, decisamente, le modalità e l’identità delle fazioni sostenute. Di recente recente il presidente francese Emmanuel Macron ha chiesto l’inasprimento delle sanzioni contro il Gruppo Wagner, a causa dell’ipotizzato supporto ai ribelli nel Burkina Faso, Paese in cui Parigi ha interessi enormi. Il Sudan, terra dell’oro (nel solo 2022 ne sarebbero state prodotte 18 tonnellate secondo Tehran Times), farebbe gola a molti, specialmente in un momento in cui il Paese, a serio rischio di guerra civile e catastrofe umanitaria, si apre fragilmente ad ingerenze di forze straniere.

La lista dei Paesi africani in cui si pensa che il Gruppo Wagner abbia un ruolo di rilievo nelle vicende interne è lunga: non solo Sudan e Burkina Faso, ma anche Libia, Eritrea, Algeria, Mali, Camerun, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana, Madagascar, Mozambico e Zimbabwe. L’offerta sarebbe sempre la stessa: armi, addestramento militare, supporto politico. Ciò a cui Prigozhin potrebbe ambire in Sudan potrebbe essere tutt’altro che oscuro: le milizie del generale Dagalo hanno il controllo delle miniere d’oro in tutto il Paese. Il Cremlino, da parte sua, non può permettere che il Sudan cada nelle mani delle potenze occidentali come Stati Uniti e Israele. Secondo i media iraniani, infatti, la regione sarebbe nel mirino di Washington e Tel Aviv al fine di contrastare la nuova alleanza tra Repubblica islamica e Arabia Saudita, le quali insieme alla Siria stanno cercando di rinnovare e rinforzare la cooperazione araba al di là del Mar Rosso ed in Medio Oriente.