«Era il 26 luglio del 1976, avevo da poche ore dato alla luce con un parto cesareo mia figlia Caterina (nome di fantasia), quando mi ritrovai all’ospedale di Andria perché c’erano state delle complicanze e la mia bimba aveva bisogno di un’incubatrice. Quel giorno, in un momento di ansia e dolore per me, mi ritrovai ad aiutare un’altra neomamma che rischiava di perdere i suoi gemelli neonati perché avevano bisogno di latte materno “speciale”, che lei purtroppo non aveva. Io quei bimbi li ho allattati per settimane». Maria (nome di fantasia) ha la voce che le trema dall’emozione mentre mi racconta la sua storia di maternità, piena di altruismo, solidarietà femminile e senso di umanità; tutti valori intramontabili che ci riportano con la mente alla figura della balia da latte, colei che riempiva d’amore le famiglie nobili di un tempo, aiutando quelle madri che per svariati motivi non riuscivano a occuparsi dei loro figli, spesso accompagnandoli nella crescita.

«All’epoca avevo 28 anni e avevo partorito in casa Caterina; purtroppo la bambina aveva bevuto del liquido amniotico e abbiamo dovuto chiamare l’ambulanza per ricoverarla d’urgenza all’ospedale di Andria. Io non volevo lasciarla da sola per nessuna ragione al mondo e una volta arrivata al Bonomo sono salita con lei in reparto». Maria manda indietro la moviola della memoria e srotola così uno alla volta quei momenti dolorosi. «Una volta arrivati hanno registrato Caterina e il dottore mi ha detto che era necessario metterla in incubatrice – continua -. Io ero distrutta dal parto cesareo, piena di punti interni ed esterni e avevo la febbre a 40. I sanitari mi fecero appoggiare su un lettino che poteva essere di un bambino di 10 anni, proprio perché non riuscivo nemmeno a stare in piedi e non c’erano altri posti. Mentre ero lì sdraiata, arrivò in reparto una signora molto esile e piuttosto minuta in camicia da notte che piangeva e chiedeva in dialetto andriese al dottore cosa sarebbe successo ai suoi figli, i suoi gemelli appena nati. Il medico le rispose: “Signora non so che dirle, se Dio ci manda una mamma che abbia un latte speciale per i suoi bambini allora c’è speranza, in questo momento non posso dirle altro“».

«Io intanto ero ancora lì, abbattuta e raggomitolata in una giacca di lana in pieno luglio, perché la febbre da cavallo mi stava divorando, però ascoltavo il dolore di quella madre, fui molto colpita da quella scena – afferma Maria -. Dopo un’ora mi chiamarono e mi dissero che volevano analizzare il mio latte per capire se Caterina sarebbe riuscita ad accettarlo, insomma, se andasse bene per sfamare la mia piccola. Poi vidi il medico che dopo gli esami chiamò gli altri dottori ed esclamò: “Sì, il Padre Eterno ha fatto il miracolo, ci ha mandato la mamma di cui avevamo bisogno“. Così i sanitari chiamarono l’altra mamma e le spiegarono che il mio latte era quello che cercavano per i suoi figli, le dissero di venirmi a chiedere se fossi disposta ad allattarli al suo posto. La signora e il dottore si presentarono dinanzi ai piedi del lettino su cui ero ancora appoggiata e io in un attimo capii tutto, accettai subito e dissi: “Dottore portatemi i bambini“. Il miracolo era che io nonostante un taglio cesareo, con dolori e piena di antibiotici non solo avessi tantissimo latte, ma che fosse anche pieno di vitamine giuste proprio per i due neonati».

«Mi portarono i gemelli della signora – racconta con gli occhi lucidi Maria, quasi grata per quella gioia -, attaccammo contemporaneamente questi due maschietti piccolissimi ai miei seni, mentre le infermiere mi reggevano la schiena per il peso. Uno di loro muoveva il ditino e sfiorava il fratellino, si osservavano mentre ciucciavano, una tenerezza infinita. I bimbi erano così gracili che avevo paura anche di muovermi. Cominciai da quel momento ad allattarli sempre, facevo 4 viaggi al giorno da Trani ad Andria con il pullman e qualsiasi mezzo per andare in ospedale e far da mamma a mia figlia e da balia per i gemelli. Rammento un episodio che mi fa ancora tanto sorridere, i primi giorni di quell’esperienza surreale il dottore mi disse che avrei dovuto dar da mangiare come sempre prima a Caterina e che, a suo parere, la bambina avrebbe fatto una bella scorpacciata di latte proprio dopo aver sentito sulla mia pelle l’odore di altri bambini. Ed è stato proprio così: Caterina succhiò 180 grammi di latte cercando di non lasciarne nemmeno una goccia agli altri e poi vomitò dappertutto. Ridemmo tutti a crepapelle dinanzi a questa scena».

«Nei 12 giorni in cui mia figlia rimase in ospedale – prosegue Maria -, allattavo lei e poi i due bimbi, tirandomi il latte e mettendolo in alcuni biberon, così che le infermiere potessero dar da mangiare ai piccoli anche quando non c’ero. Man mano che si avvicinava la data delle dimissioni di mia figlia, la paura cresceva in quella giovane madre che non sapeva come avrebbero fatto i suoi figli senza di me. Mi ringraziava continuamente, aveva anche chiesto al medico se avesse potuto sdebitarsi con del denaro o facendomi un regalo; non ho mai voluto nulla, per me allattarli era bellissimo, mi faceva stare bene, mi sentivo fortunata per l’esperienza che stavo vivendo. Il mio Dio mi ha dato la vita e non vedo perché non avrei dovuto aiutare gli altri, dando loro una speranza».

Maria è un fiume in piena e sottolinea come il periodo d’allattamento dei gemelli non sia durato poco, andando avanti per settimane e lasciando un segno profondo nella sua essenza di donna e madre. «Quando mia figlia è stata dimessa il dottore mi ha chiesto di continuare a dare il mio latte a quei bambini per parecchio tempo. Allora mi offrii di allattare anche altri bimbi che ne avevano bisogno, sempre al Bonomo di Andria; molte volte il latte che mi tiravo veniva inserito in bottigliette e poi liofilizzato per esser dato ad altri neonati. Continuai ad allattarli fino a che il dottore non mi confermò che i gemellini erano fuori pericolo; erano vivi anche grazie a me, solo ripensarci mi commuove».

Mamma Maria ha un solo desiderio oggi, rincontrarli, guardare negli occhi quei gemelli ormai grandi, dare un volto nuovo, adulto a quei due piccini che non dimenticherà mai. «Sa, il mio unico rammarico in questa storia è di non aver mai chiesto ai medici il nome e il cognome dei gemelli né della madre. Probabilmente vivono ad Andria, magari dovremmo rivolgerci all’ospedale… non so. Mi pento ogni giorno di non averlo fatto prima. Oggi ho 75 anni e vorrei tanto vedere come sono diventati. Ho sempre pensato a quei bambini, vorrei sapere se stanno bene, che uomini sono diventati. Così ho chiesto a mia figlia Caterina di aiutarmi a cercarli, di mettere un annuncio da qualche parte. Sono felicissima di averli allattati, lo rifarei altre mille volte. Sono per certi versi come dei figli per me; sarebbe stupendo riabbracciarli».