Nelle ultime settimane, uno degli argomenti di spicco e di maggior motivo di discussione è stato quello legato alla protesta dei ristoratori, i quali mettevano in dubbio la volontà e la determinazione impiegata dai giovani nella ricerca del lavoro, vista la mancanza di personale di sala e cucina nelle strutture ristorative, incolpando di questo anche il Reddito di Cittadinanza, in quanto ritenuto motivo per il quale i giovani preferiscano star comodi a casa ed essere pagati dallo Stato per non far nulla, piuttosto che guadagnarsi da vivere lavorando.

Non si è fatta attendere la risposta a tono di cuochi e camerieri di tutta Italia, che hanno approfittato del polverone che si è alzato per esternare la propria contrarietà verso tutti quei ristoratori che sottopagano i propri dipendenti, pretendendo che svolgano turni di lavoro massacranti e più duraturi di quanto consentito dalla Legge per delle paghe davvero esigue. A chi critica coloro che preferiscono percepire il Reddito di Cittadinanza piuttosto che cercare lavoro come cameriere o cuoco, i dipendenti delle strutture di ristorazione rispondono presentando dei confronti che non si discostano troppo dalla realtà, mostrando come spesso la paga mensile, ad esempio di un cameriere medio, raggiunge a malapena una cifra tra gli 800 e i 1000 euro lavorando anche più di 12 ore al giorno per almeno sei giorni alla settimana, motivo per il quale in molti preferiscano percepire il reddito di cittadinanza che può offrire orientativamente la medesima somma di denaro, ma senza lavorare.

Le conseguenze sono tanto chiare quanto disastrose: maggiore crisi, maggiore tasso di disoccupazione specialmente tra i giovani, maggior numero di persone che percepiscono il reddito e magari, nel mentre, lavorano anche a nero e il maggior numero di “fuga di cervelli” della ristorazione, ovvero tutti quei giovani aspiranti chef o maître di sala che sono costretti a lasciare l’Italia, la patria del buon cibo a livello internazionale, per cercare fortuna all’estero.

Un caso analogo e di esempio a questo è quello di Antonio Virginillo, un ragazzo di Noicattaro che, a soli 18 anni e tre settimane dopo essersi diplomato, ha lasciato la sua città, la sua famiglia, i suoi amici e tutto ciò che ha costruito in Italia trasferendosi a Lussemburgo per poter realizzare il suo grande sogno in condizioni più decorose di quelle offerte nel nostro territorio: diventare uno chef.

Antonio, come mai hai deciso di lasciare l’Italia per cercare fortuna proprio a Lussemburgo? A cosa è dovuta questa scelta?
“Ho preso questa scelta dopo aver fatto un viaggio a Lussemburgo con la mia ragazza nel 2019, durante il quale ho avuto modo di constatare sulla mia pelle quanto sia una Nazione efficiente, è stato amore a prima vista. Mi sono informato, ho fatto ricerche e ho notato il gran numero, forse anche eccessivo, di ristoranti di alto livello che si trovano qui. Ho capito subito che avrei dovuto lasciare l’Italia e trovare lavoro a Lussemburgo per realizzare al meglio il mio sogno”.

Raccontami un po’ di te, della tua passione per la cucina e quello che ti ha spinto a prendere determinate scelte.
“La passione per la cucina nasce sin da piccolo, ero sempre davanti alla tv a guardare programmi sulla gastronomia, e mentre ero lì ad osservare tutto ciò che quelle persone riuscivano ad esprimere con dei semplici piatti, mi rivolgevo ai miei genitori dicendogli che da grande sarei voluto diventare uno chef. Per altro, mia nonna è una grande cuoca, come d’altronde tutte le nonne italiane, e credo che sia stata proprio lei a tramandarmi la passione per la cucina. Le nonne sono speciali: riescono a trasformare ogni piccolo ingrediente avanzato in un piatto da leccarsi i baffi”.

Cosa ne pensi delle polemiche degli ultimi giorni riguardo il fatto che, in Italia, camerieri e personale di cucina ritengono di essere sottopagati rispetto al lavoro e alle ore svolte?
“Penso che le polemiche alzate in Italia non siano futili: si lavora tanto e si è pagati molto poco, ma tutto ciò è alimentato anche un po’ dalle nostre colpe: troppo spesso ci accontentiamo di lavorare duramente per portare ‘la pagnotta’ a casa, ma non ci rendiamo contro che in questo modo stiamo portando solo ‘mezza pagnotta’, per altro sudandola tantissimo. Molti ristoratori in Italia pensano solo a sé stessi e se ne fregano delle condizioni dei dipendenti, ma se tutti noi protestassimo di più e ci accontentassimo di meno, questa crisi tra i dipendenti del mondo della ristorazione si attenuerebbe un po’”.

Ti sembra giusto che gli italiani debbano lasciare il Paese della buona cucina per trovare lavoro all’estero? L’Italia non dovrebbe essere l’apice e il sogno di ogni chef internazionale per la storia della nostra cucina?
“L’Italia dovrebbe essere il sogno di ogni persona che voglia intraprendere un percorso lavorativo nel settore dell’enogastronomia, ma penso che ogni Paese o regione del mondo abbia una storia da raccontare e sempre un buon piatto da offrire. Non è corretto che gli italiani debbano andarsene da una delle Nazioni più belle del mondo per cercare fortuna all’estero. Perché? Cosa hanno gli altri paesi che in Italia manca? La funzionalità: ecco cosa”.

Per concludere, Antonio: se potessi, ti piacerebbe tornare a lavorare in Italia? Se sì, a quali condizioni?
“In Italia ci tornerò, è la mia terra, ma solo dopo essere cresciuto come uomo e come chef e dopo aver fatto conoscere all’estero i nostri piatti, oltre che aver approfondito la gastronomia locale. Attualmente a Lussemburgo mi trovo molto bene, a eccezione del meteo e per la mancanza che provo per il mare. Qui sei un cittadino ed un lavoratore rispettato e con pieni diritti. Lavoro in un ristorante ‘alla carte’, dove la mia mansione è quella di un semplice cuoco. Ci attribuisco la parola ‘semplice’ poiché sono un ragazzo giovane che ha bisogno ancora di crescere professionalmente, quindi ad oggi non posso definirmi uno chef, perché ho bisogno di fare molta carriera e pian piano conto di realizzare i miei sogni e obiettivi. D’altronde, come si dice: un bravo cuoco è un individuo bravo abbastanza da dare alla sua zuppa un nome diverso ogni giorno”.