Mascherine cinesi non a norma distribuite al personale sanitario, anche pugliese e barese. Riesplode la polemica, soprattutto per le rassicurazioni arrivate a più riprese nel corso di questo lungo anno di restrizioni e sistema sanitario al collasso. Un anno in cui a tutto il personale sanitario si sono chiesti sacrifici non sempre ricompensati in modo adeguato.  Niente di nuovo in pandemia, non fosse che dalla prima ondata di contagi e morti ne sono passati a centinaia di migliaia.

Nel giro di appena mezzora, in redazione siamo stati inondati da decine di copie dalla lettera inviata dalla Protezione Civile pugliese a tutti gli enti pubblici e privati del Sistema Sanitario e per conoscenza al presidente Emiliano e ai vertici della sanità regionale.

“A seguito di comunicazione pervenuta da parte della Guardia di Finanza di Gorizia, relativo al sequestro dei DPI risultati non conformi alle normative vigenti, in ordine ad attività svolte in collaborazione con il Commissario per l’emergenza Covid 19 – è scritto nella lettera – con la presente si dispone il blocco immediato dell’utilizzo ed il richiamo di quanto di seguito indicato”. Il tono decisamente perentorio ha preoccupato e non poco medici, infermieri, operatori socio sanitari degli ospedali e tutto il personale del Sistema 118.

Nell’elenco dei 12 prodotti da bloccare e ritirare, infatti, ce ne sono molti di quelli indossati finora dal personale nelle strutture sanitarie o in ambulanza. “La presente ha carattere d’urgenza – si legge ancora -. Si chiede a tutti gli enti in indirizzo di assicurarne la massima diffusione, fornendo ogni utile supporto al recupero di quanto in argomento”. Le mascherine in giacenza, è precisato indicando il referente dell’operazione, dovranno essere consegnate entro e non oltre il 15 aprile prossimo.

“Non c’è giorno in cui non si senta di uno scandalo, di notizie negative nel momento in cui al contrario il rigore dovrebbe essere essenziale per la tutela di pazienti e operatori sanitari”, scrivono indignati alcuni medici e infermieri. E il pensiero, esattamente come per l’opinabile ospedale Covid in Fiera quando si parla dell’occupazione preoccupante delle terapie intensive, va alla fabbrica regionale di DPI, l’unica pubblica aperta finora.

Poche settimane fa il dirigente della Protezione Civile, Antonio Mario Lerario, rispondendo al Consigliere regionale Zullo, aveva detto: “La fabbrica non ha mai smesso di produrre dall’agosto dell’anno scorso”. Lerario ha poi aggiunto: “Quest’ultima ha una funzione strategica che esula da ogni concetto commerciale e si inserisce in un quadro molto più ampio messo a punto dalla Protezione civile all’indomani della dichiarazione dello stato di emergenza, quando reperire una mascherina era impresa al limite dell’impossibile”. La fabbrica, ricavata nell’ex Ciapi con un investimento di 8,5 milioni di euro, ha 4 linee di produzione, 3 delle quali non sono mai state attivate.

A Lerario fanno eco diversi operatori sanitari: “La fabbrica regionale avrà pure prodotto mascherine da agosto scorso, ma a noi non sono mai arrivate. Al contrario hanno continuato a fornirci dispositivi che adesso richiamano con urgenza perché ritenuti non a norma e quindi non adeguati”.