“Nel mio ricordo di giovane obiettore che si affacciava alla professione forense, la condanna subita all’epoca mi apparve subito come una vera minaccia all’esercizio effettivo delle libertà, che in quel caso non consisteva solo nella restrizione personale in carcere, ma anche nel temuto rischio di veder macchiata la propria fedina penale. Per questo, oggi considero il riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza, sancito con legge nel 1998, una grande svolta di civiltà e di garanzia a presidio delle libertà individuali, e non solo dei testimoni di Geova ma di tutti indistintamente”. Così Dario Cacudi, funzionario pubblico, barese, Testimone di Geova, nel 1986 ha dovuto scontare una condanna per aver rifiutato di prestare servizio militare.

A causa del loro no alle armi, i Testimoni di Geova hanno pagato un prezzo altissimo. La giurisprudenza internazionale riconosce l’obiezione di coscienza al servizio militare quale diritto umano fondamentale, ma non sempre lo è stato considerato, mentre i Testimoni di Geova hanno sempre ritenuto il servizio militare non conciliabile con la loro fede religiosa.

Da uno studio condotto sulla testimonianza di chi ha opposto l’obiezione di coscienza prima che fosse ammessa per legge, è emerso che, tra i Testimoni di Geova italiani, almeno 14.180 hanno dovuto scontato una condanna per non aver voluto prestare servizio militare. Lo studio è purtroppo incompleto, dato che, trattandosi di un fenomeno avvenuto tra la fine degli anni ’60 e la fine degli anni ’90, molti di quelli finiti in carcere non ci sono più. Ciò nonostante, in totale i partecipanti al sondaggio hanno trascorso scontato pene per 9.732 anni.

“Con la loro massiccia adesione al rifiuto di entrare nelle fila dell’esercito – commenta lo storico Sergio Albesano – i Testimoni di Geova di fatto crearono un caso politico e aiutarono a portare il problema all’attenzione dell’opinione pubblica”.

Il loro rifiuto a imbracciare le armi destò l’attenzione anche di Giulio Andreotti: “Negli anni Sessanta quando ero alla Difesa – scrisse l’ex Presidente del Consiglio nel 1983 -, volli rendermi conto del fenomeno delle obiezioni militari di coscienza da parte di giovani appartenenti ai Testimoni di Geova. Mi colpì, parlando con loro uno a uno nel carcere di Forte Boccea, la evidente ispirazione religiosa e l’estraneità da qualsiasi speculazione politica; non a caso si sottoponevano ad anni di prigione continuando nel rifiuto di indossare la divisa”.

Dopo anni di discussioni e rinvii, nel 1998 è stata approvata la legge che sancisce il riconoscimento giuridico dell’obiezione di coscienza. Il servizio di leva obbligatorio è stato ne poi sospeso nel 2005.

Sergio Albesano, storico dell’antimilitarismo, autore del libro “Storia dell’obiezione di coscienza in Italia”, commenta: “I dati impressionanti di questo sondaggio portano onore ai testimoni di Geova che, per coerenza al loro credo religioso, hanno sopportato con fermezza una situazione avversa quale la reclusione, non perché avessero compiuto atti antisociali, come rubare o uccidere, ma addirittura per il loro rifiuto di imparare a uccidere”.

“Il diritto alla nonviolenza, neanche a quella resa legittima da una legge dello Stato – afferma Letizia Carrera, docente di sociologia all’Università di Bari Aldo Moro – è un diritto fondamentale che ha alle spalle figure esemplari come Gandhi, e in Italia, Aldo Capitini e Danilo Dolci e che guida ancora oggi le scelte e le azioni di migliaia di persone che non solo professano, ma praticano la nonviolenza. Come anche altri diritti, anche questo è stato conquistato con lotte, impegno, sacrificio personale e collettivo. Come ogni altro diritto, anche quello a rifiutare di essere parte del complesso meccanismo delle guerre, non può essere dato per acquisito, ma va riconosciuto e protetto, in nome di tutti coloro che si sono battuti e sacrificati per esso, importante in questo specifico caso l’impegno dei Testimoni di Geova, e per le generazioni future alle quali vanno consegnate le nostre conquiste di civiltà”.