“No m’accedùte Mussulìne fegùrde u corona virùsse” (Non mi ha ucciso Mussolini figuriamoci il coronavirus). Sono in coda all’ufficio postale di Adelfia e chiacchiero con alcuni anziani, ai quali spiego la necessità del metro di distanza nonostante la mascherina. Invocano i tempi di Mussolini e della guerra, carestie, povertà e pestilenze come termine di paragone.

Il Comune ha assoldato un’agenzia di sicurezza per far entrare la gente in modo ordinato. In caso contrario si scatenerebbe il putiferio. Difficilmente il 96enne arrivato alle 13.50, ovvero 15 minuti oltre l’orario di chiusura dell’ufficio, capirebbe che non può pagare la bolletta di pochi euro in netto anticipo rispetto alla scadenza al motto: “Meh, dai chi lo deve sapere?”.

I più indisciplinati sono gli anziani, c’è poco da fare, almeno una buona parte di loro. Aver vissuto la guerra non gli dà la reale percezione dell’emergenza sanitaria in atto. Sembra quasi non percepiscano il pericolo di vita perché il nemico è invisibile non sgancia bombe.

Nell’ora di attesa i luoghi comuni si sprecano: “Sono scampato alle bombe e alla guerra”, “Vivo da solo e quindi io sono escluso”, “Mio figlio è un medico non ho paura”, “Ho lavorato così tanto che i calli mi fanno da scudo”. Insomma, il campionario è vastissimo.

Provo a spiegare alla nonnina con la mascherina anti polvere ormai annerita, che indossa al contrario tenendola solo sulla bocca con una mano, che restare in casa significa non andare a comprare due panini o solo un litro di latte per volta. Non riesco a dissuadere in nessun modo l’ultra 80enne che la sciarpa sulla bocca e magiare legumi o bere vino non ha alcun effetto di contrasto al coronavirus. Il rischio principale per una grossa fetta di anziani sono loro stessi, l’ignoranza e il fatto che troppo spesso vengono lasciati soli a se stessi.