Una “riunione inconcludente”, secondo i rappresentati sindacali, quella che si è tenuta in video conferenza ieri con l’azienda H&M che ha deciso di chiudere diversi store sparsi per l’Italia, tra qui quello di Bari.

“L’azienda si è dimostrata poco chiara – dichiarano Antonio Miccoli, segretario Filcams Cgil Bari, Giuseppe Zimmari UilTucs Puglia e Marco Dell’Anna UilTucs Bari –. Ci dovranno consegnare per iscritto le motivazioni della chiusura che sarà tema di confronto quando ci rivedremo il prossimo 2 maggio”.

“Comunicare venerdì scorso ai lavoratori con un messaggio che il punto vendita non si sarebbe più riaperto è stata una incredibile scorrettezza – spiega Miccoli -. Così si dimostra la totale assenza di rispetto per le relazioni sindacali, oltre che umanamente una vigliaccata. Non si riesce a capire il perché di questa decisione. La H&M aveva già annunciato la decisione di chiudere 7 punti vendita in tutta la sua rete nazionale, poi all’improvviso spunta anche Bari e i negozi in chiusura diventano 8. E senza motivi veramente validi: da dati in nostro possesso il punto vendita barese ha trend di crescita notevoli, un 2019 più che positivo e anche buon un inizio 2020. Durante la conferenza i rappresentanti aziendali hanno lasciato intendere che queste chiusure sarebbero finalizzate a non aggravare troppo i costi dell’intera rete, ma motivazioni francamente molto deboli”.

“Stiamo provvedendo a inoltrare a Regione Puglia e Comune di Bari la richiesta di attivazione di un tavolo istituzionale per monitorare la vertenza e studiare soluzioni per scongiurare l’addio del marchio al capoluogo e comunque per la salvaguardia dei livelli occupazionali – evidenziano con forza Zimmari e Dell’Anna -. Quello di oggi è stato solo un primo incontro, ma ora l’attenzione si deve spostare sul territorio. Ci sono ancora tanti dubbi da sciogliere e soprattutto per noi il negozio deve restare aperto, la chiusura non è nemmeno ipotizzabile. Se l’azienda sta trovando dei problemi legati ad esempio all’affitto dei locali o sul costo del personale, vediamo, trattiamo, siamo disponibili”.

A rischio 52 posti di lavoro, 37 assunti con contratto a tempo indeterminato e 15 con contratti a tempo determinato. Ma ai dipendenti si aggiungono i lavoratori del servizio pulizia e cortesia, in tutto sono quasi 80 le persone che rischiano di vedersi franare il terreno sotto i piedi.

“L’azienda ha mostrato una certa disponibilità a trovare ricollocazioni per i dipendenti, ma è ancora tutto troppo vago – conferma il segretario Filcams Bari -. Al momento i lavoratori sono in Cassa Integrazione, bisogna aspettare i chiarimenti sul decreto e i nuovi ammortizzatori sociali. Una cosa è certa: non si possono licenziare. Per questo noi puntiamo alla riapertura del punto vendita. Se così non fosse questi lavoratori resterebbero a casa e pagati dallo Stato sotto forma di ammortizzatori, ma che serietà sarebbe questa da parte di una multinazionale? E soprattutto, se una grande azienda di questo calibro inizia a venir meno in un momento così drammatico, che segnale lancia? Si innescherebbe un effetto traino su tutto il commercio del centro città”.

“I rappresentanti aziendali hanno accennato che su 138 esuberi calcolati per i punti vendita di Milano e Bari ci potrebbero essere 61 ricollocazioni – spiegano i due segretari UilTucs -ma sul territorio pugliese i negozi H&M sono a Bariblù, Lecce e Casamassima, improbabile pensare che possano assorbire anche solo i 37 assunti a tempo indeterminato. No, per noi il negozio deve riaprire, altrimenti si deve chiarire che fine farà la licenza: la si vorrà riconsegnare al Comune? Hanno già un marchio a cui cederla? In entrambi i casi lo devono dire, per i sindacati è importante capire con chi si deve interloquire per difendere i diritti dei lavoratori. Il 2 maggio chiediamo all’azienda trasparenza e di tornare a sedersi al tavolo delle trattative con proposte e spiegazioni plausibili: oltre cinquanta persone attendono risposte concrete e pretendono correttezza, specie in un momento come l’attuale, contraddistinto da una crisi violenta e da un’emergenza sanitaria epocale, che non offre certo spiragli di ottimismo dal punto di vista delle prospettive occupazionali generali”.