Le dichiarazioni del coordinatore del 118 barese, Antonio Dibello, hanno fatto indignare numerosi operatori dell’emergenza-urgenza. Il medico del 118 e sindacalista FSI, Francesco Papappicco, ci ha fatto pervenire una lettera rivolta al dirigente medico, che pubblichiamo di seguito.

LA LETTERA DI PAPAPPICCO A DIBELLO – Mistificare la realtà dei fatti in un periodo come quello che tutto il mondo sta vivendo è il peggior delitto contro l’umanità. Ci si riempie la bocca di termini come lotta alla mafia, omertà, libertà di opinione, diritti umani, diritto di cronaca, civiltà, ma il residuo della violenza rimane un dato di fatto antropologico. Ancora oggi propaganda, oscurantismo e censura di regime sono mine antiuomo pronte a far saltare in aria chiunque osi pensare altrimenti.

Bisogna ancora ubbidire e basta. Grave atto di insubordinazione, certo, proprio come se tutti abitassimo una grande caserma o una prigione, pronti a scattare sull’attenti ad ogni sortita dei superiori, controllati a vista dal grande fratello orwelliano, eternamente minacciati dall’oscura presenza nel panottico benthamiano. Sorvegliare e punire scriveva Michel Foucault, tutti irreggimentati dalla culla alla tomba, la disciplina come garanzia di sottomissione acritica.

Il 26 settembre 1983 non sarà sicuramente una data familiare ai più, eppure dovrebbe essere ricordata e stampata a fuoco nella mente di tutti, tra i ricordi più importanti della Storia. Ebbene, quel giorno un atto di grave insubordinazione salvò l’umanità dall’olocausto nucleare. L’eroe si chiamava Stanislav Petrov. Ma c’è anche una gerarchia per gli eroi e Petrov non entrerà mai a far parte della storia dei grandi perché come altri consegnato alla damnatio memoriae.

Cinque anni fa io e Francesca Mangiatordi fummo chiamati eroi incatenati, anche noi eroi minori perseguitati da quello stesso dirigente che non sopportava più le nostre accuse. Dibello si dimise a causa di quella storiaccia narrata ogni giorno dal Quotidiano italiano. L’allora Direttore Generale, Vito Montanaro, aveva firmato ben tre procedimenti disciplinari nei confronti dei due medici. Uno per Francesca, due per me. Una censurata, l’altro assolto. Fummo vittime dello spregio vendicativo di Dibello, che nel frattempo fu inspiegabilmente e contro il regolamento aziendale riassunto dalla Asl e ricollocato alla direzione del coordinamento del 118 e del pronto soccorso del Perinei.

La verità su quella riassunzione mai indagata rimane ancora oggi avvolta nel mistero. Il 27 marzo scorso, il Direttore della U.O.C. S.P.P.A., Nicola Sansolini, scrive al Coordinatore  Antonio Dibello e per conoscenza ai direttori Asl Bari una integrazione ad una nota del 26 marzo in cui “si comunica che tutti gli operatori sanitari del 118 in servizio sugli automezzi devono utilizzare quali kit di protezione i seguenti dpi: copricapo, occhiali, tuta monouso, sottocamice monouso, copriscarpe monouso, maschere FFP2, guanti”.

Precedono e si susseguono disposizioni sulla gestione e percorsi per pazienti sospetti o accertati Covid+, ma nel frattempo si brancola nel buio riguardo gli approvvigionamenti e forniture di dpi completi e a norma di legge. Il Presidente della FNOMCeO,  Filippo Anelli invece, il 31 marzo, informato direttamente dal Commissario straordinario per l’emergenza epidemiologica Covid-19 Arcuri, aveva a sua volta diramato ai presidenti degli Ordini nazionali una richiesta di sospensione immediata della distribuzione e utilizzo di mascherine FFP2 equivalenti in quanto “non sono dispositivi autorizzati per l’uso sanitario” dalla Protezione Civile.

Nel frattempo era già scoppiato il mortifero focolaio all’ospedale della Murgia e segnatamente proprio in quel pronto soccorso diretto dallo stesso Dibello. Avete già raccontato del numero di medici, infermieri e sanitari contagiati proprio in quei giorni. Alcune di quelle persone sono ancora ricoverate, sintomatiche o in convalescenza. Qualcun’altro ci ha rimesso la vita. Alcuni reparti ancora oggi sono chiusi a causa della decimazione dei medici di pronto soccorso sostituiti dai colleghi di quei reparti.

Avete raccontato dei collaboratori contagiati in servizio proprio in quel coordinamento del 118 a Noicattaro, diretto dal dottor Dibello, delle ritardate predisposizioni delle sanificazioni dei mezzi e decontaminazione degli equipaggi. Delle associazioni di volontariato che per evitare danni ai mezzi hanno optato per soluzioni alternative. Ancora oggi non abbiamo calzari da tuta a norma per completare la vestizione ma solo inutili copri scarpe da sala operatoria, le tute e le mascherine terminate nei giorni scorsi e quelle fornite nelle ultime ore in alcune postazioni non sono a norma. Ci sono poi le comunicazioni di inoperatività alla centrale operativa per esaurimento dei dpi, i casi di rifiuti di intervento da parte di medici ed interi equipaggi rimasti senza protezioni.

Nelle postazioni non arrivano da tempo i saponi germicidi e i disinfettanti alcoolici in quantità insufficiente. Decine di richieste rimangono inevase, altre sbarrate perché non disponibili. Come si fa a negare l’evidenza di fatti così schiaccianti e documentati? Qual è la logica che spinge un’azienda ad aprire un procedimento disciplinare a senso unico nei confronti di un medico piuttosto che a un dirigente? È per caso il titolo che conferisce immunità e legittima atti così ignominiosi? Tra un eventuale errore procedurale e una condotta scandalosamente superficiale e omissiva come quella di non aver assicurato dpi a norma e ottimali condizioni di sicurezza sul lavoro al personale in servizio, qual è il senso, la logica, il criterio di discrimine tra legalità e legittimità adottato dall’azienda?

Sono in grado di sconfessare il coordinatore del 118 con prove documentali incontrovertibili e inequivocabili nelle sedi competenti, riguardanti non solo gli ultimi episodi circa la mancanza di dpi. La dichiarazione del dottor Dibello diramata dalla Asl  è a dir poco inqualificabile, destituita di fondamento e non regge alla prova dei fatti. Oltraggiosa la tracotanza con la quale tenta di difendersi a sua volta offendendo un’intera classe di lavoratori e professionisti del 118.

Non tema di essere diffamato chi fama non ha. Questa è una facoltà che può esercitare solo chi la fama se l’è costruita autorevolmente e non autoritariamente sul campo. Semmai siamo tutti noi che lavoriamo in ambulanza e non dietro una scrivania a sentirci diffamati. Noi abbiamo gli argomenti per affermare che siamo le persone giuste nel posto e nel tempo giusto. Non so se qualcun’altro abbia altrettanti argomenti a favore di chi sa solo brandire lo spauracchio di un procedimento disciplinare.

Ci sia permesso almeno di dissentire e rimanere indignati. A chi ha vestito i panni del grande inquisitore affetto da sindrome di Procuste dico che solo pochi lacchè saranno disposti a difenderlo e a inneggiare alle sue imprese; e se da par nostro, cioè di chi ha il 118 nel sangue, non avremo neanche il consenso e la riconoscenza della gente per il nostro lavoro, ebbene costui si consoli nella consapevolezza che prima o poi troverà il suo Teseo e costoro non si stupiscano se il sacrificio di quegli eroi non sia servito a nulla. La gente sappia che sarà stata sconfitta la mafia della lupara e degli attentati, non di certo la mentalità mafiosa. Rimango a disposizione del Governatore Michele Emiliano, del dottor Vito Montanaro e del dottor Antonio Sanguedolce per audizioni in merito.
di Francesco Papappicco