«#iorestocasa, è l’hashtag lanciato quando è entrato in vigore il decreto firmato dal premier, Giuseppe Conte, con cui l’Italia è stata proclamata zona protetta. Un modo semplice e banale per far capire agli italiani, quelli che hanno preso d’assalto i treni diretti nel Sud, che il solo modo per sconfiggere il coronavirus è non uscire. Per rendere il concetto ancora più chiaro, l’hashtag è accompagnato dallo slogan “Lascia il virus fuori dalla porta”. Mi piacerebbe tanto, ma io, pur essendo confinato tra le mura domestiche, non posso. Vivo con un medico che passa tutto il giorno in ospedale, e ogni volta che rientra a casa, potenzialmente, sta tornando con il nemico».

Inizia cosi, in forma di lettera, il racconto di Claudio, nome di fantasia: «La mia compagna lavora nella direzione medica dell’ospedale, non è “in prima linea”, non presta servizio al pronto soccorso, non va in corsia. In teoria dovremmo stare tranquilli, in realtà, non è affatto così. Ancor prima che l’emergenza esplodesse anche in Puglia, mi ha intimato di fare scorte alimentari, di accumulare un po’ alla volta, in previsione di tempi difficili. Giorno dopo giorno l’ho vista diventare sempre più nervosa, sempre più tesa, orari di lavoro sempre più prolungati, qualche volta è tornata a notte fonda. Sono convinto che sia finita in isolamento, in attesa dell’esito di qualche tampone, anche se non me lo ha detto. Il telefono ha preso a squillare in continuazione, chiamate dalla mattina prestissimo a tarda sera, fino a quando, col decreto del 9 marzo, è stata chiara: “Non c’è più il criterio epidemiologico, non ha più importanza se vengono dalle zone rosse oppure no, adesso ne troveremo a centinaia. Dobbiamo dormire separati».

«Quello del letto è il problema minore, per fortuna casa nostra è grande e io sono finito in soggiorno sul divanoletto (sic!). Il problema vero è stato riorganizzare la vita. La mattina del primo giorno da separati, o se preferite, in questa specie di isolamento fiduciario volontario, beh quella è stata la più dura. Appena se n’è andata, ho preso la candeggina spray e ho “sanificato” tutte le maniglie delle porte, i rubinetti, gli interruttori della corrente elettrica. Evitate di toccare occhi, naso e bocca, dicono, e se starnutite fatelo nella piega del braccio. Ecco, ogni volta che mi parte uno starnuto devo spalancare le finestre, in teoria dovrei lavare tutto intorno, potrei essere positivo asintomatico. Non vi dico il freddo in casa, per fortuna il clima in questi giorni non è rigido. Quando le sento fare un colpo di tosse, nell’altra stanza, mi vengono i brividi».

«L’altra stanza, sì, perché in casa sembra di essere tornati ai tempi dell’università, quando, se te lo potevi permettere, affittavi una stanza singola, che era il tuo universo: camera da letto, soggiorno e studio, tutto in quattro mura, cucina e bagno invece erano in comune. Così è adesso, a parte il bagno, dato che per fortuna ne abbiamo due. Uno e mezzo a dire il vero, nel senso che per farmi la doccia devo andare in quello che adopera lei, non prima, però di aver fatto cambiare l’aria, nella speranza, ovviamente che sia una misura sufficiente. A parte questo, parliamo al telefono o da dietro una porta, ormai non ci vediamo nemmeno più. Quello spaesato più di tutti è il nostro gatto, ci guarda stranito e non capisce perché, all’improvviso, non può più dormire con tutti e due. Ha scelto me, mi fa piacere è ovvio, ma mi dispiace che quando lei torna a casa a tarda sera, dopo una infinita e pesante giornata di lavoro, non può far altro che consumare in solitudine una cena fredda e andare a svenire sul letto senza nemmeno le fusa del suo cucciolo».

«La mattina uno di noi si alza, prepara “due colazioni singole”, per poi lasciare la cucina all’altro. La spremuta d’arancia è compito mio, non che serva contro il coronavirus, ma di certo non è il caso di farsi venire un raffreddore in questo periodo. Gliela lascio in giro per casa, dove lei andrà a prenderla in un secondo momento. Tra corridoio e camere passanti, siamo riusciti a definire percorsi separati, una fortuna, che non hanno tutti quelli nella nostra stessa condizione. I medici, gli infermieri, le persone che lavorano negli ospedali, sono giustamente i nuovi eroi, che però hanno una famiglia. A loro questa cosa è piovuta sulla testa, loro non hanno scelto di salvare vite».

«Ai nostri nonni hanno chiesto di andare in guerra, a noi di rimanere sul divano, ho letto ripetutamente su facebook. In tanti proprio non lo vogliono capire. Per una volta, vi viene ordinato di non fare un cazzo, ma gli italiani sono allergici al rispetto delle regole, e così si lamentano, vanno al circolo per giocare alla birra, o addirittura al mare, per fare il bagno perché “i pesci non hanno il coronavirus”. Però con la mascherina, quella che migliaia di medici vorrebbero per non rischiare la pelle e invece non si trovano più. A loro vorrei augurare il peggio, ma non è bello. Così mi limito a starmene rintanato, sperando che coronavirus non venga a dormire da me».