“L’onda alta del coronavirus sta arrivando, ma siamo ancora in pochi ad essercene accorti”. A parlare è Francesco Papappicco, sindacalista FSI, ma soprattutto medico in prima linea del servizio di emergenza-urgenza Barese. “Snocciolare cifre e percentuali non salverà nessuno”, continua il medico. Una constatazione amara all’indomani della prematura scomparsa di Diego, la prima vittima del 118 in Italia. “Alla sua famiglia e ai suoi cari va il cordoglio di tutti gli operatori del 118 d’Italia”, aggiunge Papappicco deciso a rispondere alle accuse del coordinatore del 118 Barese, secondo il quale le dichiarazioni di Papappicco sulle lacune del sistema e  la mancanza di mascherine sarebbero state solo dichiarazioni sterili e inappropriate.

Intanto alcuni numeri, semplici nella loro complessità. Nel Barese, su oltre 50 postazioni del 118 turnano 6 sanitari nelle 24 ore, andando a medicalizzare le cosiddette India, ovvero le ambulanze con l’infermiere a bordo. Aggiungendo in media 3 unità in servizio sull’automedica, la cifra raddoppia. “Con questi numeri è facile immaginare possa essere stata prevista la distribuzione di 500 o 600 mascherine ffp3 – spiega Papappicco -. Calcolando un cambio medio almeno settimanale, sarebbe questa la cifra della fornitura media settimanale per tutto il 118 Barese”. A sentire le denunce dello stesso Papappicco, ma anche di numerosi altri sindacati, le forniture sarebbero inadeguate rispetto alle reali necessità.

“I fatti stanno a zero – tuona il sindacalista – un kit-coronavirus monouso in una scatoletta di cartone per ogni mezzo”. Altro che dichiarazioni sterili. In realtà nella disposizione firmata l’indomani della denuncia, i due coordinatori non hanno fatto altro che disporre quanto suggerito dal medico. “Dagli ordinativi non risultano affatto forniture a 3 o 4 zeri – incalza Papappicco -. Se calcoliamo che solo dopo il mio primo intervento giungeva quella disposizione e qualche mascherina per postazione, mi chiedo quante di queste avrebbero fornito alle postazioni affinché noi rimanessimo senza, addirittura accusandoci di essercele portate a casa”.

Fin qui il discorso legato alle mascherine, ma a scarseggiare sarebbero anche occhiali, grembiulini e tute protettive. “Siamo tutti eroi in queste circostanze – dice amareggiato Papappicco -, ma dobbiamo lottare anche per una certa regolarità del servizio lavanderia e la fornitura di vestiario e scarpe, ma anche sapone o carta igienica, senza contare postazioni in condizioni che in nessun modo supererebbero controlli di agibilità e sicurezza fossero strutture private”.

Il messaggio del coordinatore infermieristico del 118 Barese è al centro di un’aspra polemica. “Se la situazione non fosse così critica – aggiunge Papappicco – ciò che ho sentito e letto non sarebbe che il copione di una commediola da postribolo. Un idioma laido, crasso, scurrile e minaccioso non si addice a un coordinatore sanitario, che si ritiene esperto e previdente. Significa non avere la minima percezione e conoscenza di come si trasmetta un’epidemia del genere”.

Al netto delle polemiche, evidentemente meno sterili di quanto possa essere sembrato, restano enormi problemi organizzativi. “Ancora oggi – aggiunge il medico – non hanno previsto luoghi idonei di decontaminazione e svestizione del personale 118, contenitori speciali per lo smaltimento dei dispositivi impiegati, convenzioni per la decontaminazione e sanificazione degli automezzi. Non è stata neppure prevista una mascherina di contenimento del flugge per i pazienti né i termoscanner che eviterebbero contatti rischiosi. Ecco perché invito l’autore dell’intollerabile messaggio a farsi qualche turno con noi in ambulanza d’ora in poi. Pontificare su ciò che non si vive di persona è sciocco e autolesionista”.

L’insoddisfazione è tanta, soprattutto per i rischi che il personale del 118 corre ormai a ogni chiamata. “Senza nulla togliere al lavoro indefesso e oltremodo stressante da scrivania – continua il sindacalista – mi sembra davvero arduo l’esercizio di sospensione dell’incredulità nel leggere e sentire quello sproloquio, cui siamo chiamati noi che invece in ambulanza ci stiamo per 12 ore a turno, più volte a settimana. Il pipistrello che ha contagiato il mondo non è Batman. I fumetti con i suoi eroi lasciamoli ai bambini! Questa guerra non si combatte con i superpoteri ma con scienza e coscienza e se ci è concesso difenderci, almeno con un congruo quantitativo di mascherine e dispositivi di protezione individuale”.

“Con gente come lei questa guerra la perdiamo – dice Papappicco all’autore del messaggio -. Siamo sotto il fuoco di un cecchino, evitiamo dunque di farci male tra noi. Ogni paziente può essere potenzialmente infetto. Risale a due giorni fa l’ultimo intervento personale su un sospetto caso di coronavirus. Avevamo indicazioni limitate, sul posto faccio indossare una mascherina alla paziente di 46 anni, con febbre da undici giorni, che ha chiesto invano l’aiuto ai numeri istituzionali di riferimento. Sul posto la donna mostra il messaggio di una collega di lavoro, che avvisava in una chat della positività di uno zio. Con un’automedica ci fai poco e allora richiedo l’India per il trasporto verso percorso ospedaliero dedicato. Fornisco indicazioni affinché si giunga sul posto con addosso tuta, maschere ed occhiali di protezione. Noi dell’automedica non potevamo certo sapere delle condizioni della donna e quindi siamo arrivati muniti di sola maschera e guanti per iniziativa personal”.

L’intervento in sé è solo una parte del problema. “Terminato l’intervento, infatti -, si pone il dilemma di come ritornare in postazione, dove decontaminarci, spogliarci, dove e come stoccare i dispositivi di protezione utilizzati, dove e come sanificare gli automezzi prima di tornare operativi. Anche qui i fatti stanno a zero. Per iniziativa personale e per fortuna, l’associazione dell’ambulanza ha stipulato una convenzione con un autolavaggio H24 dotato di personale certificato per la decontaminazione personale e dei mezzi”.

Ultimo fatto. “In occasione di quell’intervento ho constatato di persona l’assenza di tracciabilità dei pazienti sospetti e non trasportati da equipaggi del 118 – conclude il medico -. Come facciamo a risalire al paziente positivo e far incrociare il dato con i membri degli equipaggi che lo hanno visitato e trasportato? Se quel paziente risultasse positivo chi ci contatterebbe? Nessuno! Garantisco per esperienza di fatti. Non un’istituzione sanitaria ha previsto un percorso di tracciabilità per il 118. La risposta più ridicola che ho sentito è stata: ma sai forse per la privacy! Come comportarci dunque? Ognuno avrà la sua opinione, ma nel bel mezzo di una pandemia non saprei che farmene di quelle altrui. Decido dunque di contattare personalmente il centro di riferimento presso cui abbiamo destinato la paziente fino a constatarne l’esito del primo tampone. Abbiamo fatto turno diurno. Smontato alle 20. Alle 2 della notte, quando già ognuno era rientrato a casa, ci siamo comunicati l’esito. Stavolta c’è andata bene”.