Ricorso depositato da nullafacente a dicembre del 2011, prossima udienza per la decisione – se Dio vuole – a marzo 2019, affidata al quinto giudice nell’eterno balletto del rinvio. La storia, contenuta nel libro “Senza paracadute”, è la mia. Storia di un giornalista che non ha mai smesso di essere precario, in attesa di sapere da un “giudice a caso” quale sarà il suo futuro.

In questi più di 7 anni, quasi quanto il periodo lavorativo alle dipendenze di Telenorba, seppure formalmente sul libro paga di Media News, ho messo su una casa e al mondo due figli. Il più grande ha quasi 6 anni, quindi capace di capire quanto sia vergognoso attendere tutto questo tempo un giudizio che la Legge prevede in un periodo molto, ma molto più ragionevole.

Siamo tutti numeri di registro, come se non avessimo una vita, bollette e mutui da pagare o non dovessimo provvedere al sostentamento delle nostre famiglie. I più fortunati si appellano all’ex articolo 700, ma l’urgenza non viene concessa a tutti. Sì, perché il mio non è un caso isolato, anzi, siamo centinaia nelle stesse condizioni. L’andazzo è generale e non c’è verso a quanto pare di rispettare i codici del diritto. In molti sostengono che una nazione civilizzata si vede dall’efficacia e dalla velocità del suo sistema giudiziario. Beh, in Italia e a Bari siamo messi davvero molto male.

E allora, dopo un po’ di studi – non me ne vorranno gli avvocati, nemmeno il mio – provo a fare alcune considerazioni specifiche. Secondo quanto ho potuto apprendere, nel rito del lavoro ci dovrebbero essere due udienze: la comparizione delle parti e la discussione orale della causa. L’udienza di comparizione delle parti è la prima. In aula devono essere presenti i testimoni, già ascoltati in precedenza. E la discussione? Nel mio caso siamo alla sesta udienza e il giudice dovrebbe decidere l’esito del ricorso, ma già dalla seconda di queste udienze sarebbe dovuta arrivare la decisione. Volendo cavillare, due dei rinvii sono stati d’ufficio, altri tre senza apparente motivo e ora ne inizia un’altra. Abbiamo ascoltato testimoni, depositato video e documenti, tanti documenti.

Purtroppo, però, a quanto pare bisogna arrendersi a una gestione della Giustizia superficiale, indifferente ai bisogni e diritti dei cittadini. Il sistema ha fatto sue delle prassi scorrette, sotto il profilo morale, tecnico e formale.

Volendo parlare di moralità, le cause ormai vengono trattate come fascicoli, senza ricordare che si fa riferimento alla storia e al destino delle persone. Uomini e donne che hanno riposto le loro speranze all’interno delle carte di quel fascicolo. Il 90 per cento delle volte  non si sa neanche il nome del titolare di quel fascicolo; il giudice vede solo il numero di registro, cioè la data di iscrizione al ruolo della causa, e in base a quello concede i rinvii, a prescindere da quale possa essere l’oggetto del ricorso. Solo in caso di Legge Fornero o articoli 28 per comportamenti anti sindacali i tempi sono più stretti. Nel mio caso, lo ricordo a me stesso, stiamo parlando di un licenziamento e di un esposto consumati nel 2011. E se nel frattempo non fossi stato capace di reinventarmi un’occupazione in grado di farmi portare il pane a casa? Poco importa.

Sotto il profilo formale, invece, la cattiva prassi consolidata fa dimenticare che il processo del lavoro è un processo che ha tre caratteristiche: oralità, immediatezza e concentrazione. Ciò significa che tutti i rinvii della mia storia sarebbero dovuti essere vietati. Gli unici atti scritti sono introduttivi e le note conclusionali, poi, sono date dal giudice. Al contrario del processo civile, ci sono una serie di preclusioni e decadenze, che danno la possibilità di giudicare già alla prima udienza di discussione.

Capisco che si può essere sfortunati, un giudice può andare in maternità, essere trasferito o sostituito. Ci sta, ma la domanda che mi pongo è un’altra: perché il giudice che riceve la causa proveniente dal ruolo di un altro giudice non la decide, se è matura la decisione? Mi chiedo e lo chiedo anche ai tanti operatori della giustizia, perché le cause che non necessitano di istruttoria, quindi mature per una decisione, non vengano decise alla prima udienza. Il codice dice questo, ma non sia mai a dirlo in udienza, ormai è considerata da molti un’oscenità. E intanto la mia vita e quella di tanti lavoratori resta appesa per anni.