Qui siamo di fronte a un gigantesco problema di carattere pubblico. Non è una piccola questione locale, ma un enorme disastro”. Così l’avvocato Michele Laforgia, legale del Comitato “Archimede 16” che raccoglie le famiglie dei residenti della palazzina nel quartiere Japigia di Bari dove sono stati accertati 21 casi di tumore provocati, secondo la Procura, dalle sostanze tossiche sprigionate dai roghi nell’ex discarica comunale di via Caldarola, bonificata circa vent’anni fa. Per il troppo tempo trascorso, però, la Procura di Bari ha chiesto l’archiviazione ma le famiglie delle vittime hanno fatto opposizione, chiedendo altri accertamenti.

“Le malattie e le morti si stanno ancora verificando, – spiega il legale – questa è la ragione principale per la quale i reati non si sono prescritti e chiediamo che la Procura continui a fare il suo lavoro dal punto di vista dell’accertamento delle responsabilità”. Ma l’avvocato va oltre la questione penale legata a quel singolo palazzo.

“È un dovere della Procura fare ulteriori indagini non solo sulle morti e sulle malattie di via Archimede 16, ma anche su quello che è potuto accadere nella zona” dice Laforgia, che ritiene “necessaria una indagine epidemiologica su larga scala”. “È un problema che riguarda solo la palazzina di via Archimede 16 – si chiede – o può riguardare anche altri edifici, anche edifici pubblici, perché in quella zona ci sono scuole?”.

“Stiamo parlando di un disastro ambientale in un quartiere popolare – continua il legale – che ha tragicamente colpito le persone meno tutelate e più deboli, cioè quelle che vivono nelle periferie. Questa vicenda non può restare confinata alla opposizione all’archiviazione del Comitato di via Archimede 16.

Chiediamo che questa diventi una grande questione dell’intera città, forse dell’intera regione. Il sindaco Decaro si è già interessato ed è l’unica risposta che per il momento abbiamo avuto, ma spero che ce ne siano molte altre”. “Fin dagli anni Settanta – conclude l’avvocato Laforgia – le autorità pubbliche avevano perfettamente contezza che quella fosse una zona a rischio salute, però ci sono voluti trent’anni e qualche decina di malati per cominciare ad occuparsene”.