“Non c’è niente da fare”. È la tipica frase che viene pronunciata da medici e sanitari che giudicano le condizioni di salute del paziente compromessa al punto da non poter intervenire. Agela, 59enne di Sammichele, se l’è sentita dire da uno dei cinque medici in visita nella sua camera in un ospedale barese. Tutto per colpa di un tumore al cervello grosso nove centimetri, tornato quarant’anni dopo la prima volta.

“Il dottore dell’opsedale che in cui sono stata ricoverata non ha voluto operarmi – dice Angela – per lui l’intervento era troppo rischioso e così avevo solo pochi mesi di vita. Vi lascio immaginare cosa ho provato sola in quella stanza quando ho ricevuto la notizia”. Per fortuna, però, Angela ha una cara cugina che non si è rassegnata. Alla donna è venuto in mente di avere un conoscente che lavora nella clinica Mater Dei.

In meno di una settimana Mario Napolitano, primario del reparto di Neurochirurgia della struttura privata, ha deciso di operare Angela, andando contro la sentenza del collega. “Un intervento faticoso e di grande entità, durato 14 ore – racconta il primario -. Siamo riusciti a togliere la massa che era arrivata a toccare la faccia del cervello senza daneggiare nient’altro. Adesso Angela sta meglio e sta riprendendo la funzione delle gambe e delle braccia, compromessa già prima dell’intervento per colpa della massa tumorale”.

“Ringrazio il dottor Napolitano – dice emozionata Angela – senza il suo coraggio e la sua tenacia adesso sarei morta”. “È un po’ come andare dal meccanico – conclude il primario – bisogna sempre andare da qualcun altro quando ci viene fatta la diagnosi alla macchina. In ogni caso il vero successo è dell’intera struttura. La sola bravura del medico, senza il necessario supporto, non è sufficiente”. Ci è sembrata una storia comune, più di quanto si possa immaginare e per questo meritevole di essere raccontata.