La storia, se raccontata al bar, ha del surreale, ma viverla, esserne protagonista, ti fa rendere conto di come la Puglia non potrà mai “decollare” sotto nessun punto. Abbiamo problemi di occupazione, i posti di lavoro scarseggiano (spesso è anche la voglia di lavorare a scarseggiare) e quando ci confrontiamo con le Istituzioni, essere partecipi di un caso di lite tra Regioni, avvalora le parole di Briatore; che poi non è solo un fatto di dispetti, ma un vero e proprio danno verso chi deve sopravvivere.

I fatti: vado a fare una visura al centro per l’impiego di Bari. Al mio turno mi accoglie una signora molto cortese, si siede al computer e digita il mio codice fiscale per avviare la ricerca. Vivo a Bari dal 2008 ed è proprio in quell’anno che ho avuto la mia prima assunzione, la prima di una lunga serie. Nel database del centro per l’impiego risultano tutte le esperienze di lavoro in Puglia ma non quelle esterne.

«La Regione Puglia non comunica con il database centrale» mi dice l’operatrice senza levare gli occhi dallo schermo, come se si vergognasse di una cosa di cui non ha assolutamente colpa. Chiude la schermata principale e va sul sito dell’Ampal (Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro) un sito governativo e lì, con raccapriccio, scopro il giochetto assurdo del non parlarsi, come due bambini dell’asilo che si contendono il pallone: le mie esperienze lavorative in Puglia non risultano. «La Puglia non comunica il proprio database al centrale perché vuole essere pagata» continua l’operatrice «ha troppe spese inutili».Per questo non c’è comunicazione e quindi esiste questo limbo.

Ho la fortuna di essere un dipendente e spero di esserlo per sempre, ma non posso fare a meno di pensare a chi la mattina è in coda al freddo o al buio con la speranza di trovare qualche cosa e sopravvivere, nel caso sapesse che la sua esperienza lavorativa non viene resa pubblica.

A chi puntare il dito? Alle istituzioni sicuramente, trasformate oramai in un trampolino di lancio per una carriera del singolo politico “spremivoto”. E dopo, ma non di minore importanza, a noi stessi che spesso crediamo alle favole della fatina buona, pronti a pronarci davanti al potente di turno, per poi vedere ignorato il sudore della nostra fronte.