Avevo fatto grandi pulizie, il mese scorso, svuotando il mio studio professionale da una enorme quantità di videocassette accumulate negli anni. Tante riguardavano film per bambini, ma mio figlio è cresciuto e nel frattempo le VHS non si usano più. E ho preso a buttarle. Ma ce n’erano alcune che ho messo da parte e che mai darò via. Erano le registrazioni delle puntate della trasmissione che Fortunata Dell’Orzo tenne a lungo su Telebari all’inizio degli anni Novanta ogni pomeriggio e a cui mi ritrovai spesso a partecipare come ospite.

Per me quelli furono anni molto importanti, speravo che l’impegno alla fine avrebbe aperto varchi nei muri di gomma che circondavano come fortini i baluardi amministrativi. Erano gli anni degli editoriali di denuncia, del giornalismo che metteva alla berlina le inadempienze, disattenzioni, indifferenze e insofferenze verso i valori culturali di cui Bari era ricca senza che molti se ne rendessero conto. E che, con Fortunata, sperimentò la diretta partecipazione dei cittadini, messi nella condizione di parlare in diretta con gli ospiti di turno.

Erano gli anni dei fascicoli sui ruderi della città curati da Dionisio Ciccarese per la Gazzetta del Mezzogiorno; e della nascita del mio Laboratorio Urbano, le cui iniziative tanta attenzione di stampa avrebbero ricevuto grazie a prestigiose figure come quella di Liborio Loiacono, di Gustavo Delgado, di Nicola Patruno e, alla radio, di Antonio Rossano. E fu così che io e Fortunata, con il supporto del direttore Miki De Ruvo, accendemmo i riflettori su villa Giustiniani, la “casa rossa” di via Omodeo assurta a simbolo del degrado culturale della città. Elaborammo una lunga serie di trasmissioni per risvegliare l’attenzione pubblica. E con la forte collaborazione, fra gli altri, di Elio Di Summa, organizzammo manifestazioni davanti all’edificio, raccogliendo migliaia di firme per richiederne l’acquisizione da parte del Comune e lo sblocco del progetto di recupero che già allora, per la presenza del sottostante ipogeo, si prestava a diventare “Museo della civiltà Rupestre”.
Era piena la chiesa di San Marco a Japigia: una chiesa che ha accolto tante manifestazioni culturali ed è stata punto di riferimento di un impegno sociale per l’intero territorio che vide per molti anni, tra gli altri, la splendida figura di Lilia Scaramuzzi, promotrice con l’AcEt di tante iniziative socioculturali. Ci siamo ritrovati in tanti per salutare Fortunata Dell’Orzo, simbolo del giornalismo impegnato, di denuncia e di prospettiva.
Non è stato facile esserci, troppo doloroso. Belle le parole del parroco, belle le espressioni di ricordo di chi ha avuto la forza di prendere la parola, dei colleghi di Fortunata che hanno voluto dirle grazie e degli amici che ancora non ci credono.

Bello e struggente, al momento della Comunione, il canto del soprano Maria Grazia Pani. Perché Fortunata è stata, tra radio e televisione, un riferimento locale per molti decenni. La sua schiettezza aveva contagiato me come tanti altri e non era difficile lasciarsi coinvolgere dalle sue discussioni aperte, dalle denunce verso le Istituzioni, dalle visioni di prospettiva.
Bei ricordi, di una profonda intensità e di un impegno che non temeva il rischio di colpi bassi. Che, purtroppo, sono poi arrivati in abbondanza, per me come per Fortunata Dell’Orzo. E quando ci si trova con l’acqua alla gola, i compromessi ti rincorrono e spesso tu rincorri loro. Ma ieri erano tutti ad ammettere che la vita non le abbia dato, professionalmente parlando, quanto avrebbe meritato.

Ed allora, in una città dalla memoria cortissima, chiedo la condivisione di una iniziativa che aiuti a fermarla, quella memoria tanto labile: il Museo della Civiltà rupestre, che dovrebbe sorgere in villa Giustiniani, sarebbe bello dedicarlo a Fortunata dell’Orzo: non era esperta di ipogei (altri nomi sarebbero più giustificati), ma perché in quella iniziativa ci credette con tutta l’anima come ci credetti io e insieme ci mettemmo la faccia e la nostra professionalità. Altri vi presero parte e ben più furbamente di noi misero subito a frutto politico la loro presenza e oggi sono chi dirigente in Regione, chi ai vertici istituzionali. Ecco, dedicare quel futuro museo a Fortunata Dell’Orzo sarebbe come dedicarlo a chi a Bari si è tanto impegnato nel Sociale e nella Cultura ma poi, fermato dalla propria onestà intellettuale, non è passato all’incasso.