«Non un messaggio mafioso ma solo devozione nei confronti del patrono della città, San Rocco, e un tributo alla memoria del figlio, Michele, ucciso 8 anni fa e coinvolto in alcune inchieste di malavita». In una lettera indirizzata alla Gazzetta del Mezzogiorno, Giuseppe Buscemi, 66enne capofamiglia il cui nome nelle scorse settimane è circolato vorticosamente su tutti i giornali, spiega il perché di quella scritta “Viva San Rocco firmato famiglia Buscemi” sulla mongolfiera ad aria calda lanciata a Valenzano la sera della festa di San Rocco, patrono del paese.

Quella scritta, ripresa da un post su facebook e dalla successiva interrogazione parlamentare del deputato Pd Dario Ginefra, ha suscitato una mare di polemiche, politiche e non, col sindaco, la curia, il comitato organizzatore e tutti i cittadini di Valenzano a chiedere chiarezza e scambiarsi accuse, chi più chi meno.

Secondo Giuseppe Buscemi “quella mongolfiera è stata semplicemente frutto di una sentita devozione familiare verso San Rocco, il Santo protettore di Valenzano e verso San Michele, di cui mio figlio Michele era onorato di portare il nome, alla stregua di altri componenti della mia famiglia. La sera del 16 agosto la mongolfiera a nome della mia famiglia non è stata l’unica bensì la quarta di altre dedicate ad altrettante famiglie”.

“Sono nato a Palermo nel 1950. Sono il quinto di dieci fratelli, di cui quattro maschi e sei femmine – scrive Buscemi – Tutti i membri della mia famiglia sono soggetti assolutamente incensurati, fatta eccezione per il sottoscritto condannato per furto e per un tentato furto, fatti risalenti agli anni Settanta e mai coinvolto in processi di criminalità organizzata, compreso Salvatore, nato a Palermo nel 1947 e deceduto nel lontano 1976”.

“Mio fratello Salvatore, morto nel 1976, non ha nulla a che vedere con il Salvatore Buscemi indicato dalla stampa come uno dei capi del mandamento di Boccadifalco o Passo di Rigano. Quanto a me – aggiunge – non sono mai stato sottoposto ad alcun ‘soggiorno obbligato’ a Valenzano o altrove, come erroneamente riportato. La verità è che mi sono recato a Valenzano di mia volontà e per motivi di lavoro nell’ormai lontano 1974, ove conobbi una giovanissima ragazza, Antonia Stramaglia, con la quale mi sono unito in matrimonio l’anno successivo”.

“Ho sentito il bisogno di mettere le cose in chiaro – spiega – e fare queste precisazioni per salvaguardare il mio nome e soprattutto quello dei miei giovanissimi nipoti, dal rischio di essere etichettati come membri di una famiglia ‘mafiosa’ con tutte le conseguenze che ciò determina nel contesto scolastico e sociale”.