Il fatto che qualcuno ancora non digerisca l’idea del raddoppio dell’Interporto di Bari è chiaro come il sole. Un’opera giudicata strategica persino dal Ministero competente, ma evidentemente non da quanti per troppo tempo hanno usato a proprio uso e consumo lo Scalo Ferruccio di Bari, di proprietà delle Ferrovie dello Stato. Di questo, però, torneremo a parlare perché l’abuso viaggia anche sui binari. Chiunque, guardando dalla tangenziale quella moltitudine di tir, container, binari e capannoni, si sarà chiesto cosa sia effettivamente l’Interporto. Bene, per dirla con una metafora, è ciò che la rete (internet) vale per l’e-commerce: tutto. La più veloce via di comunicazione terrestre per far arrivare beni da una parte all’altra del mondo. Ciò che c’è dietro il click.

Si è perso del tempo, tanto che la Regione Puglia ha annunciato l’avvio dell’iter per la revoca del del finanziamento da 90 milioni di euro, creando in chi ha letto le cronache di questi giorni, l’idea del naufragio irrimediabile. Quella dell’Interporto è una storia difficile, in cui la famiglia Degennaro – Davide è il presidente – è stata truffata dalla società finanziaria alla quale si era rivolta per avere la fideiussione necessaria all’avvio della mastodontica impresa, che cambierà una volta per sempre il trasporto delle merci, liberando la tangenziale di Bari dai mezzi pesanti e abbattendo costi e tempi impiegati oggi per far viaggiare un treno carico di container da Bari a Milano.

Nuovi servizi, anche informatici, altri 90mila metri quadrati di capannoni, il totale abbattimento di emissioni di CO2, oltre la già realizzata autosufficienza energetica nell’era in cui il trasporto su rotaia rappresenta ancora solo il 5% del totale. Una miseria. La collaborazione tra pubblico e privato, perché di questo si tratta, può dare frutti particolarmente brillanti, anche in un momento di crisi. All’interno dell’Interporto, che non è affatto solo un posto in cui si prendono in fitto giganteschi capannoni con volte alte 10 metri e mezzo, ci sono oltre 40 aziende – locali e globali – con un numero di addetti impegati che supera i 2mila. Diversi operatori sono in lista d’attesa. Attualmente non c’è posto per tutti.

Per capire cos’è realmente l’Interporto, abbiamo fatto l’unica cosa possibile: ci siamo andati, chiedendo al presidente di accompagnarci. Abbiamo incontrato e ascoltato imprenditori, che hanno visto crescere le proprie aziende anche per il fatto di essere in quel posto e non altrove. Ciò che è oggi l’Interporto regionale della Puglia crea meraviglia. Poca cosa rispetto a ciò che sarà. “Ci sono stati problemi e certamente non sarà una passeggiata – spiega il presidente Davide Degennaro – ma il raddoppio si farà. Stiamo costruendo le condizioni migliori affinché ciò sia possibile. C’è tempo fino al 2023. È vero, stanno operando dei privati, ma nessuno può mettere in discussione l’interesse pubblico dell’opera, strategica a livello internazionale per tutta la Puglia”.

Mentre parliamo, sul piazzale dove ci sono i fasci di binari da 600 metri di lunghezza sono piazzati tre convogli diretti a Catania, in Austria e in Germania. Attualmente se ne lavorano una quarantina a settimana. Alla fine del raddoppio i treni lavorati potrebbero diventare 160 a settimana, con costi assai più competititvi per le aziende. Basti pensare che oggi, a causa della brevità dei binari dello Scalo Ferruccio, parte integrante dell’Interporto, prima di essere caricato, ogni convoglio deve essere movimentato anche due o tre volte, con un prezzo di 400 euro a manovra. Costi aggiuntivi ai 250 euro necessari per trasportare un container da Bari a Milano e ai 36 euro per il carico e scarico.

Nel video, il nostro viaggio nalla pancia dell’Interporto, per capire cos’è e cosa diventerà.