Rilanciamo e facciamo nostra la considerazione dell’ingegner Dario Espositio, postata sul gruppo Facebook “Salviamo Via Sparano”, sul restyling dell’arteria pedonale di Bari che in questi giorni sta suscitando tante polemiche sul web e tra i baresi.

La maggior parte dei commenti negativi sono sulla perdita delle numerose palme che percorrono la strada, immagine distintiva e identitaria della via del passeggio. Eppure, considera Esposito, l’eliminazione delle piante è l’ultimo dei problemi del progetto di riqualificazione.

“Salve a tutti, sono Dario Esposito, Ing. Civile e Dottorando presso il politecnico di Bari. Studio da più di due anni metodi per la modellazione e simulazione del comportamento umano negli spazi pubblici urbani. In particolare nelle aree pedonali di interesse storico architettonico.

Con gli studenti del Politecnico di Bari abbiamo recentemente condotto sperimentazioni sulla percezione e cognizione spaziale del nostro centro murattiano. Con il fine, fra gli altri, di individuare gli elementi fondamentali e caratterizzanti nell’esperienza di esplorazione e movimento nel nostro spazio urbano e di valutarne l’influenza sulle emozioni e comportamenti di ciascuno.

Come si può immaginare molti dei risultati ottenuti sono del tutto contro-intuitivi, per cui posso affermare che in linea di massima scelte progettuali di rinnovamento urbano improntate semplicisticamente a principi di razionalizzazione e di caratterizzazione con l’imposizione forzata di certe visioni, non sempre funzionano e spesso provocano problematiche difficili da affrontare ex-post.

Ho letto i messaggi del gruppo e sembrerebbe che la paventata eliminazione delle palme di via Sparano sia la violenza più grande del progetto di “riqualificazione”, ma dietro questo macroscopico segnale credo si possa individuare un coacervo di delusioni e desideri disattesi causati da questo intervento apparentemente slegato dal contesto e credo che questo movimento di reazione spontanea abbia diritto di esprimersi.

Con sincerità non ho informazioni sufficienti sul come sia stato condotto il processo di progettazione e se siano o meno stati coinvolti i cittadini in un auspicabile processo democratico di partecipazione e consultazione dal basso. Inoltre, le informazioni e immagini dell’effetto futuro diffuse dai giornali non permettono di poter dare giudizi definitivi sul risultato.

Purtroppo, come spesso accade nel mondo dell’edilizia pubblica e privata, le moderne pratiche scientifiche atte a ipotizzare con buona approssimazione, se non prevedere compiutamente, gli effetti di certi interventi futuri non vengono affatto prese in considerazione, eppure esse esistono, e noi facciamo ricerca proprio in questa direzione.

Nello specifico parrebbe che, come è triste prassi, ci si sia affidati all’estro dell’architetto ed a qualche indicazione di massima come il fantomatico principio di “riconessione visiva” e quello dei “salotti all’aperto”. Le stesse facce forzatamente sorridenti delle figurine umane di “photoshop”, consumate dall’uso almeno decennale degli architetti di tutto il mondo, trasfigurano delusione e inadeguatezza al compito affidatogli di rappresentare un buon risultato dell’intervento.

Per mia esperienza questo modo di procedere porta da un lato a polemiche e scontentezza e dall’altro all’unica opzione di imposizione forzante dell’amministrazione.
Con l’augurio che questa battaglia serva anche a cambiare il comune approccio improntato alla spicciola semplificazione della complessità dei problemi urbani/ambientali e sociali per il raggiungimento di decisioni facili e remunerative. Resto a disposizione di tutti per discutere più approfonditamente di possibili strade per disegnare alternative condivise di scenari futuri per la nostra città. Forza!”