Prima le magagne delle associazioni, poi l’inadeguatezza delle postazioni, adesso lo stress al quale sono sottoposti tutti gli operatori del 118: dipendenti con almeno tre diversi contratti e volontari. Continuiamo il viaggio parziale nel caos del servizio barese dell’emergenza urgenza tre anni dopo l’avvio della nostra inchiesta giornalistica.

Si è raggiunto un livello così alto di stress psichico-fisico da mettere a rischio persino la vita dei pazienti, oltre quella dell’equipaggio. A chi dovrebbe cambiare rotta, la questione sembra non interessare affatto. Se, come pensiamo, si procederà a redigere una nuova convenzione per l’affidamento delle postazioni ai volontari, non si può continuare a far finta che fare il medico, il soccorritore o l’infermiere del 118 sia un lavoro come tutti gli altri. Prendendo spunto dall’ultimo incidente che ha visto coinvolta un’ambulanza in codice rosso, con la morte della paziente trasportata, crediamo sia arrivato il momento di prevedere un adeguato supporto psicologico per gli operatori dell’area critica del servizio di emergenza urgenza conivolti in fatti particolarmente gravi. Più in generale per una vita continuamente in balia degli eventi.

Vorremmo fare una domanda al presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano; al direttore generale della Asl di Bari, Vito Montanaro e al più consapevole coordinatore del 118, Antonio Di Bello: avete mai avuto un pezzo del cervello di un uomo tra le mani? Avete mai ripreso da un infarto un 39enne sano, morto poi in ospedale? Avete mai sentito le urla di una mamma che abbraccia il cadavere del figlio 18enne accanto all’auto accartocciata per colpa di un ubriaco illeso? In questi casi, ma l’elenco potrebbe essere assai lungo, il supporto psicologico dovrebbe essere la regola. Seppure non considerato tale, gli operatori del 118 vanno prima di tanti altri incontro a usura. E invece succede che nei Punti di Primo Intervento vengano messi al lavorare tanti giovani medici, mentre a salire e scendere dalle ambulanze del 118 viene tenuto personale con problemi fisici, in attesa di trasferimento, persino economicamente più svantaggioso. Contratti e tutele diverse, anche tra medici, alcuni dei quali hanno ferie dimezzate, niente tredicesima e assicurazione in caso di infortunio, a meno della stipula di contratti con assicurazioni private. Una giungla senza una regola comune, in cui ognuno deve cercare di sopravvivere facendo squadra e sperando di non essere pugnalato alle spalle.

Lo stress psicologico, quello procurato dall’inadeguatezza delle sedi e non da meno dalla possibilità di un contagio nel corso di un intervento, tirano in ballo “l’indennità di rischio”, non prevista per il personale in servizio nell’area critica dell’emergenza urgenza, così come in tanti altre branche della della sanità.

I VOLONTARI – Una parte determinante del nostro viaggio è rappresentata dai volontari. Un mondo variegato composto da tanti appassionati, ma anche da una moltitudine di approfittatori, soccorritori per la necessità di arrotondare lo stipendio. In ogni caso, tutti lavoratori a nero, perché inseriti in turni regolari, anche notturni e festivi, senza limiti mensili. Il ricorso selvaggio ai volontari porta ad alcune pericolose storture.

Facciamo un esempio. Per coprire la turnazione degli autisti di una postazione occorrono cinque unità assunte a tempo indeterminato full time o l’equivalente di assunzioni con un contratto part time (per esempio 10 unità a 19 ore, o ancora un’integrazione delle due soluzioni). Nessuna delle postazioni è dotata di questo personale e quindi succede che un volontario, che spesso è un dopolavorista (elettricista, avvocato, imbianchino, ragioniere, insegnante, operaio, ecc…), debba guidare l’ambulanza. Immaginate in che condizioni possa mettersi al volante di un mezzo del 118 un operaio dopo le sue regolari otto ore di lavoro, magari in un ambiente ostile. Il discorso vale ugualmente per i soccorritori. Tutto ciò mette in pericolo tanto il personale, quanto più in generale la qualità del servizio.

Un rischio eccessivo, anche in considerazione della “mancia” ricevuta ogni mese: circa 4,20 euro all’ora. Una ricompensa di circa 600 euro al mese, che vengono dati in contante o attraverso l’elargizione di buoni pasto e benzina. Situazione controversa quella dei compensi ai volontari, falsamente definiti rimborsi, che merita un apposito approfondimento. Ad alcune associazioni, per provvedere al pagamento è sufficiente un’autocertificazione da parte del volontario; altre chiedono la presentazione delle ricevute delle spese sostenute durante il “turno di lavoro”. La mancanza di tutele per i volontari complica tutto, esattamente come le complica per il resto dell’equipaggio. Se un volontario o un medico vengono picchiati durante lo stesso intervento e refertati in pronto soccorso con più giorni di prognosi, il volontario non ha diritto a nulla. Non che le tutele del medico o siano molte di più.

Rischio eccessivo anche quello della mancata tutela e risarcimento nel caso di un infortunio nell’esercizio delle proprie funzioni di soccorritore, tanto dipendente quanto volontario. Da qui la proposta del Co.e.s. di istituire la figura legalmente riconosciuta dell’autista-soccorritore. Più in generale la necessità di prevvedere un un’unico serivizio con diverse mansioni e uguali tutele. Una giungla intollerabile a cui bisognerebbe mettere ordine sin d’ora, senza arrivare con l’acqua alla gola alla stesura della prossima convenzione. Lo abbiamo detto altre volte, siamo dalla parte di chi considera l’ipotesi dell’internalizzazione del servizio una pericolosa illusione. Carne da macello, da ricattare o illudere a seconda delle circostenze. Senza troppi giri di parole ecco come vengono considerati gli operatori del 118.

Perché continuare a far finta che i volontari non siano lavoratori a nero? A tal proposito il presidente della Pubblica Assistenza Sercorato, Fedele Tarantini, aveva avanzato una proposta, che tanto fece discutere soprattutto quanti avversano l’affidamento del 118 ai volontari: portare a 6 il numero di dipendenti per ciascuna postazione, in modo da diminuire il numero dei volontari, che dovrebbero rimanere nell’alveo del volontariato.

A beneficio dei vertici della Asl di Bari, riportiamo la definizione di volontariato presa da un noto vocabolario della lingua italiana : “Un’attività di aiuto e di sostegno messa in atto da soggetti privati o associazioni, generalmente non a scopo di lucro, per varie ragioni che possono essere di altruismo, di generosità, interesse per l’altro o di qualsiasi altra natura. Il volontariato può essere operato individualmente o in associazioni organizzate”.