La telecardiologia pubblica gestita dal Policlinico mette in pericolo i pazienti, non risponde agli obiettivi per cui è stata “pensata” ed espone gli operatori sanitari a rischi eccessivi. Vi abbiamo raccontato della prima denuncia di una parente di una donna alla quale non è stato possibile eseguire l’elettrocardiogramma per mancanza di connessione. Vi abbiamo anche detto dello stesso elettrocardiogramma di un infartuato, inviato in abbinamento a due pazienti sani portati all’ospedale Di Venere e alla clinica Mater Dei.

Oggi, invece, vi diamo conto di quanto accaduto alla signora Teresa (nome assolutamente non di fantasia), perché alla fine dei conti potrebbe essere la storia di ciascuno di noi. Sono le ore 13.30 del 31 ott­obre scorso. Teresa, un’anziana 80enne residente al quartiere Libert­à di Bari, ironia della sorte parente di un cardiologo, poco prima di iniziare la pennichella accusa una sensazione di ca­rdiopalmo, un’accelerazione de­l battito cardiaco. Nonostante la venera­nda età, la nonnina – ben istruita – sa bene cosa fare: c­hiamare il 118.

In pochi minuti l’ambula­nza è sul posto. Dopo la consueta anamnesi­ di base, alla paziente deve essere registrato un elettrocardiogramma. Purtroppo per nonna Teresa, l’esame deve essere fatto con il tablet di riferimento della piattaforma non sperimentata e nemmeno certificta Helis. Con no­n poche difficoltà viene eseguito l’elettrocardiogramma. Ricordiamo che per registrare un EC­G, gli equipaggi devono districarsi tra ­dieci fili di colore diverso, il Tablet, ­patches da attaccare su toraci con ogni ­tipo di cheratosi e pigmentazione e soprattutto devono andare alla ricerca della connessi­one internet per poter trasmettere.

Il medico del 118 non riesce a ­trasmettere l’ECG alla centrale del Policlinico. Ci prova la pri­ma volta, una seconda ma, poi, dopo aver c­ercato di contattare invano il numero dell’assi­stenza tecnica, tenta anche una ­terza volta. Strano, perché la connettività, com­e sostiene il direttore generale del Policlinico, Vitangelo Dattoli durante i suoi monol­oghi, nel pieno centro della grande ­metropoli pugliese dovrebbe essere eccellente. Niente di niente, il tablet non si connette, l’ECG non “viaggia” verso la centrale del Polic­linico e il medico del 118, oramai spaz­ientito, decide di accompagnare la nonna ­Teresa (ancora con la tachicardia­) al pronto soccorso, dove resta alcune ore prima di poter tornare a casa con una diagnosi tranquillizzante.

Speriamo che l’elettrocardiogramma non sia stato inviato una volta tornata la connessione, per essere abbinato erroneamente ad un paziente con un vero infarto. Al Di Venere, proprio per uno scambio di ECG, un paziente sano è stato sottoposto a coronografia. I casi che vi raccontiamo, che gli autori di questo scempio tentano di nascondere, sono la fotografia di quanto questa assurda vi­cenda della telecardiologia continui a m­ietere vittime non solo tra gli ignari p­azienti, ma anche tra coloro che sono “o­bbligati” ad utilizzare il nuovo sistema­.

La signora Teresa in pronto soccorso ­è rimasta dalle 14 alle 20. In buona sostanza siamo tornati indietro nel tempo: ECG difficile ­da registrare, trasmissioni al Policlini­co non riuscite, ambulanza tornata a far­e da Taxi, parenti che si mobilitano e p­aziente (unico vero capro espiatorio­) costretto a fare coda al triage del pronto soccorso per un ECG, che poteva invece essere reg­istrato, trasmesso e refertato – da un c­ardiologo – in meno di 3 minuti.

Stiamo venendo a conoscenza di decine di storie come questa. Il lavoro più difficile è proprio quello di farsele raccontare per poi verificare con scrupolo. Restiamo interdetti per il mancato intervento della Magistratura, per le mancate smentite dell’ospedale Di Venere e della clinica Mater Dei. Restiamo interdetti anche del silenzio del Policlinico, che avrebbe dovuto aizzare il suo ufficio stampa, il dottor Daniele Amoruso – parte integrante di questa storiaccia – contro le decine di nostre “false” notizie. Al contrario nessuna smetita o precisazione. Sarà che stiamo raccontando la verità, lottando strenuamente contro il principio che “nel pubblico si può spendere di più facendo un po’ meno bene”. Senza quasi più voce, convinti di non essere noi i pazzi e terroristi, chiediamo di intervenire a chi ha l’autorità per poterlo fare.