La possibile incompatibilità di Francesco Rocca, attuale presidente nazionale della Croce Rossa Italiana e direttore generale dell’IDI di Roma, è approdata in Parlamento. A tirare fuori la questione con la sua consueta veemenza è stato il deputato del MoVimento 5 Stelle Luca Frusone che proprio venerdì scorso ha presentato un’interrogazione a risposta scritta, controfirmata anche dai colleghi Andrea Cecconi, Massimo Enrico Baroni, Matteo Mantero, Silvia Giordano, Manuela Lorefice e Giulia Grillo tutti di M5S, che può essere considerata un vero e proprio attacco frontale alla persona del Presidente Rocca.

Il fulcro della questione che si rivolge al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro della Salute, a quello degli Interni e a quello dell’Economia e Finanze verte proprio sulla voglia di poltrone che distinguerebbe Rocca. La poltrona incompatibile, secondo i deputati pentastellati, sarebbe quella di direttore generale dell’Idi, azienda ospedaliera privata appena rifinanziata dal Vaticano dopo un tracollo economico epocale.

Il problema sta tutto nel fatto che oggi Rocca sia il numero uno di un ente pubblico vigilato dal ministero della Salute, come è attualmente la Croce Rossa Italiana, e anche direttore generale e supermanager di un’azienda ospedaliera privata che è accreditata presso il servizio sanitario nazionale. Il problema non è di poco conto. Croce Rossa nonostante le cure esperte del suo Presidente, prima dirigente e poi commissario, non ha salvato i suoi gioielli di famiglia, la cui svendita, pur in corso, è stata finora risolutiva come un pannicello caldo “procurando un ricavo di soli 6 milioni di euro, a fronte di stime dei beni di oltre 36 milioni di euro”, come si legge nel testo dell’interrogazione che, essendo a risposta scritta, troverà soddisfazione nei prossimi giorni.

Per questo i sette parlamentari sollecitano gli organi interrogati a rispondere sul dubbio che se “Francesco Rocca da maggio 2015 è diventato il nuovo direttore generale dell’Idi, il nosocomio dermatologico più grande d’Europa, questo potrebbe sollevare, a giudizio degli interroganti, il problema d’incompatibilità di carica, in quanto già amministratore di un ente pubblico come la CRI, peraltro vigilato dal ministero della Salute” e concludono chiedendo “di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa; se il Governo non ritenga, per quanto di competenza, di effettuare i necessari approfondimenti in relazione ai profili riportati in premessa relativi all’incarico di Francesco Rocca nell’ambito della Croce Rossa italiana, ente per il quale, almeno fino al 10 gennaio 2016, permane la natura di soggetto pubblico; in particolare, se non si ravvisino eventuali aspetti di incompatibilità o quantomeno di inopportunità in relazione alla carica ricoperta dal medesimo in seno all’Irccs «Istituto dermopatico dell’Immacolata» di Roma, e quali iniziative di competenza, anche normative, si intendano assumere al riguardo, al fine di evitare il protrarsi o il ripetersi di casi come quello descritto”.

Un autocrate come Francesco Rocca questo dubbio non se l’è nemmeno fatto passare per l’anticamera della testa, lui che ha disseminato la Croce Rossa Italiana di leggine e regolamenti ma che l’amministra a colpi di defenestrazioni e commissariamenti che solo il Tar riesce, in parte, ad arginare. Sarà curioso leggere la risposta governativa, sicuramente da meditare come da meditare è la cornice tutta ricavata dai nostri e da altri articoli di stampa, che ha inquadrato la figura del presidente Rocca e ha disegnato in Paolo Pizzonia il possibile anello di congiunzione tra la sua segreteria di via Toscana, ricordiamolo nominata “ad nutum” e per “intuitus personae” (senza concorso alcuno) ed il sottobosco che in questi anni ha agitato la politica della Capitale.

Si legge nell’atto parlamentare che “in un articolo del 3 dicembre 2014 (http://www.cinquequotidiano.it) riguardante lo scandalo di mafia capitale e gli intrecci di rapporti del «mondo di mezzo», compare anche il nome di Rocca, in particolare si fa riferimento alla cena in cui tra i commensali c’erano «a condividere con il primo cittadino (allora Alemanno) i piaceri della cucina i rappresentanti di cooperative storicamente legate alla sinistra capitolina (CNS, 29 giugno, Lega cooperative sociali Lazio) e della Croce Rossa Italiana, alla quale, di recente è stata affidata la (ricca) gestione dei campi nomadi di Roma; e poi l’assessore all’Ambiente Marco Visconti, il consigliere comunale del Pdl Ugo Cassone e il direttore del Dipartimento servizi sociali e salute del Comune Angelo Scozzafava. Una comitiva bene assortita che s’è riunita lontano da occhi e orecchie indiscreti per discutere di servizi sociali, insediamenti nomadi e manutenzione del verde pubblico»; il Presidente Rocca aveva, all’interno della sua segreteria, come braccio destro Paolo Pizzonia, ex membro dei Nar, i Nuclei armati rivoluzionari, si tratta del medesimo gruppo di estrema destra di Massimo Carminati, una delle menti di «mafia capitale»”.

Insomma cosette non da poco, un bel ritratto a tinte forti di un soggetto che molto ha fatto discutere anche per una smania di protagonismo assolutamente non consona al ruolo che ricopre. I parlamentari a cinque stelle ci hanno anche ricordato le ragioni dell’insediamento di Rocca a via Toscana descrivendo l’alta natura morale della sua scelta “Francesco Rocca è stato eletto presidente della CRI dal 27 gennaio 2013, dopo esserne stato commissario straordinario dal 12 novembre 2008 – si legge nell’interrogazione – con scadenza del mandato al 10 gennaio 2015. Da quanto riportato in un articolo de L’Espresso di marzo 2010, già venivano evidenziate forti storture «Se decine di migliaia di volontari si adoperano senza prendere un euro, Rocca guadagna oltre 200 mila euro l’anno, e ha a disposizione circa 120 mila euro per le missioni. I tre capi dipartimento in busta paga superano i 150 mila, a cui vanno aggiunti i premi di produzione. Il direttore generale prende, invece, 200 mila l’anno»”.

Ecco la ragione dell’incarico dirigenziale accordatogli dal Vaticano, riuscire a sostentarsi, a portare il pane a casa dopo che, per effetto del nuovo statuto da lui varato in vista delle elezioni degli organi sociali del 2013, ha imposto la totale gratuità del suo altissimo ufficio al fine, si dice, di spiazzare altri e meno addentellati concorrenti, specialmente se domiciliati fuori Roma e quindi necessitati di spese di alloggio e trasferimento. La ciambella ha trovato il suo buco. Adesso bisognerà capire se il Governo italiano è d’accordo, se gradisce una generazione di figli e figliastri, controllori e controllati, se le questioni riguardanti incompatibilità ed inconferibilità degli incarichi pubblici valgono solo per gli altri, se sette deputati del MoVimento 5 Stelle sono pazzi visionari o meno, se dobbiamo continuare a chiamare questa svendita “privatizzazione”.