«Genitori biologici e genitori adottivi, mondi apparentemente lontani, tenuti da un filo invisibile (quello del cuore), che nessuna legge potrà mai spezzare». Francesca Pellegrini parla così del suo stato di figlia adottiva (non riconosciuta alla nascita) e del desiderio di sapere le proprie origini. Dopo un black out iniziale, Francesca, 54enne, insegnante di economia, decide di intraprendere un cammino a ritroso della propria vita. Ostacolata dalla fredda burocrazia e da un numero imprecisato di leggi, si rende subito conto che tutto va verso un’unica direzione: “occultare” per almeno un secolo colei che deliberatamente ha deciso di non riconoscerla alla nascita. Poiché, secondo la legge 93 del D’Lgs n. 196 del 2003, prima che un adottato, non riconosciuto, possa richiedere informazioni sulla madre biologica devono passare rigorosamente 100 anni.

Una legge incomprensibile.
«Più che altro ingiusta. Perché se l’anonimato della madre serve per  garantire al bambino abbandonato e non riconosciuto, cure immediate da parte dello Stato e tempi brevi per l’adozione; dall’altro gli nega, una volta adulto, il diritto umano (e sacrosanto) di sapere le sue origini. Invece, sarebbe un atto di civiltà dello Stato affermare questo diritto per quei cittadini, già sfortunati, evitando così di considerarli ulteriormente di serie B».

Dopo la nascita del Movimento Figli Adottivi Adulti, cosa è cambiato?
«Nel 2009 abbiamo fatto un ulteriore passo avanti strutturandoci come Comitato Nazionale per il Diritto alla conoscenza delle Origini Biologiche. Per noi un fatto importante. Perché, così, abbiamo potuto presentare, con buoni risultati, 8 proposte di legge per la modifica della n°196 del 2003».

A che punto siete?
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Il 18 giugno di quest’anno abbiamo superato il primo step con l’approvazione alla camera dei Deputati. Il 3 luglio finalmente la proposta è stata trasmessa al Senato. Ora siamo in attesa della calendarizzazione alla Commissione Giustizia del Senato. Ma i tempi sono biblici e non si “conciliano” con la sofferenza e l’attesa delle persone. Si tratta della nostra vita. Aspettiamo risposte».

E la sua storia personale?
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Con difficoltà sono riuscita a risalire all’identità di mia madre. Un’indossatrice morta giovanissima, all’età di 29 anni. Conosco via e numero civico dell’abitazione. Un condominio come tanti. Ma non per me. So di avere anche un fratello di poco più grande. Una volta credo pure di averlo intravisto…»

I suoi genitori adottivi?
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Conservo sempre l’immagine di mia madre che, supplicandomi, mi chiedeva di non abbandonarla. Il fatto di aver scoperto la verità in procinto di sposarmi e da un certificato di Battesimo, non poteva cancellare 30anni di vita insieme. Non è stato facile. Ma non potevo neppure giudicarli per il fatto che mi avessero taciuto la verità per tanto tempo. Neanche questo sarebbe stato giusto. Sentivo “solo” esplodermi il cuore. Questo sì. Poi, alla fine ho realizzato che loro, i miei genitori adottivi, erano l’amore. Quello vero. A cui certamente non potevo voltare le spalle».