Giù dalle ambulanze, dove qualcuno ha passato anche venticinque anni dalla sua vita, per stare giornate intere in un ufficio a tagliuzzare fogli di carta o nella migliore delle ipotesi a fare fotocopie; oppure  impiegato ad assistere persone affette da disabilità in un centro diurno, senza avere competenze teoriche e pratiche specifiche. Ecco uno degli effetti della privatizzazione della Croce Rossa e del decreto 178 del 2012, da più di due anni senza regolamenti e decreti attuativi che vengono sopperiti da Circolari e Ordinanze Presidenziali, ormai incalcolabili. Praticamente il presidente Francesco Rocca fa il bello e il cattivo tempo.
Della Lombardia ci eravamo già occupati qualche settimana fa, ma abbiamo voluto continuare ad approfondire ciò che sta accadendo sentendo Raffaele Giannella, dirigente dell’Unione Sindacale di Base, facente parte del gruppo dei coordinatori delle squadre in cui sono stati suddivisi i circa 150 soccorritori della Lombardia. Nelle ultime settimane le voci contrarie alla privatizzazione – soprattutto così com’è – sono diventate tante e trasversali. Noi stessi ve ne abbiamo fatte sentire molte: Fratelli d’Iatlia, Sel, Movimento Cinque Stelle, Area Popolare.

In Lombardia succede anche un’altra cosa assurda. Tutti gli ex dipendenti dei comitati locali e provinciali sono stati spostati e stipati al Cmitato regionale, con sede a Milano. Un palazzo dove ormai si fa fatica a trovare spazio per questa moltitudine di pesone, mentre il palazzo storico (Caradosso), resta deserto. Rocca, infatti, ha deciso di venderlo (cifra a base d’asta 9,2 milioni di euro), allo stesso modo in cui vuole s-vendere gran parte del patrimonio dell’ente.

La trovata geniale, sì, ma da genio del male è questa: Il palazzo storico è stato ristrutturato anni fa per accogliere gli uffici del Comitato regionale. Ora non solo è vuoto, ma per accogliere gli ulteriori amministrativi vengono affittati spazi presso il comitato “privato” della Croce Rossa Italiana di  Opera, a cui verrà corrisposto un canone di affitto.
Questo assurdo sistema ha generato delle situazione paradossali, degli abomini se si considera che la privatizzazione è stata pensata per riorganizzare e risparmiare. Ci sono, per esempio, marito e moglie, residenti a 180 chilometri dalla sede del Comitato Regionale, che devono percorrere 360 chilometri al giorno, alternativamente per badare ai tre figli, con cui possono condividere la sola domenica. Trecentosessanta chilometri per fare fotocopie e tagliuzzare carte. Roba da matti.
La maggior parte degli operatori deve percorrere giornalmente oltre 150 chilometri per andare al lavoro. Un lavoro diverso da quello svolto finora e che, in alcuni casi, quelli più incredibili, li costringe a guardare il soffitto o girarsi i pollici. Succede anche a Roma, ma di questo ve ne parleremo in maniera più specifica. I più fortunati, si fa per dire, sono quelli che passeggiano per le vie del centro del capoluogo lombardo o all’interno delle principali stazioni ferroviarie, sperando di non beccarsi la scabbia. Nei centri di accoglienza in stazione i casi aumentano, ma agli ormai ex soccoritori è stata tolta l’indennità di rischio. Chissà, magari è stata fatta una graduatoria dei rischi, e quello di contrarre la scabbia è stato considerato non degno di tutela.
Molti dei nulla facenti sono stati soccorritori, persino in gamba. Ora, però, non lo sono più. Non sono più ammessi sulle ambulanza. Alla vigilia di Expo, però, la considerazione nei confronti di questo nutrito plotone di ex dipendenti pubblici starebbe cambiando. Adesso, anche in cosiderazione del fiume di persone atteso a Milano e in Lombardia, vorrebbero farli risalire sulle ambulanze, ma lavorando per la Croce Rossa privatizzata. Ma che privatizzazione è se le ambulanze pagate coi soldi pubblici sono state cedute in comodato d’uso gratuito alle APS?

Così – dicevamo – alla vigilia dell’Expo ti puoi ritrovare a essere soccorso da un ex dipendente della Croce Rossa costretto a chiamare a sua volta il 118. Senza contare l’inefficienza di alcuni servizi. Gli utenti ormai non possono più chiamare il numero centralizzato per richiedere l’intervento di un’ambulanza, ma quelli singoli dei vari comitati privatizzati. In questo caso parliamo ovviamente dei trasporti sanitari semplici e dei servizi secondari. Prima, se si chiamava il numero del Comitato regionale di Milano, c’era qualcuno che si occupava di smistare le chiamate. Adesso a quel numero spesso non risponde proprio nessuno. Ci siamo arresti dopo aver provato per tre volte.
Ma che razza di privatizzazione è questa? A chi giova? Siamo sempre più certi che si tratti di un flop assoluto, da fermare il prima possibile. Appare evidente ormai che l’aggiusto è molto peggio del guasto a cui si è cercato di porre rimedio.