Conti correnti pignorati e una clamorosa sconfitta in appello potrebbe acuire la crisi, non solo economica, di Telenorba. Il Davide che sta colpendo durissimo il solito, macchinoso e superbo Golia, si chiama Roberto Rizzo: un giornalista che, a differenza di altri, ha scelto di non tollerare l’arroganza del gruppo editoriale di Conversano. Rizzo ha iniziato a collaborare con Telenorba da Roma. Era il 2000, formalmente per una manciata di soldi e con un contratto di collaborazione autonoma.

In realtà, invece, ha lavorato per due anni con una media di 12 ore al giorno – come è stato riconosciuto dal Giudice del Lavoro presso il Tribunale di Bari – anche nella redazione centrale, a Conversano, e a Potenza, nella sua Basilicata. Spostamenti che l’azienda ha richiesto a Rizzo con una semplice telefonata, senza alcuna indennità aggiuntiva e con la solita promessa di un “imminente” inquadramento. A gennaio del 2002, invece, senza ricevere alcun avviso – niente di niente – Rizzo, che nel frattempo era diventato praticante giornalista, non ha potuto più entrare in redazione. Semplicemente perché gli era stata cambiata la serratura. I tentativi di avere una spiegazione sono vani.

A quel punto, il giornalista decide di iniziare la sua battaglia legale. In primo grado il giudice gli riconosce la natura subordinata del rapporto e le differenze retributive, ma non il reintegro. Lui, però, non si rassegna e fa ricorso in appello. A marzo il suo ricorso viene accolto, riconoscendo non solo la natura subordinata del rapporto, ma anche il reintegro immediato e il pagamento di stipendi e contributi da gennaio 2002 a oggi. È in quel momento che iniziano i guai per la già falcidiata Telenorba che, nel frattempo, ha licenziato 43 dipendenti (8 dei quali giornalisti).

Rizzo decide di rinunciare al reintegro e chiede, invece, che gli vengano corrisposti gli stipendi arretrati, contributi e tutto il resto. “Non me la sono sentita di far sacrificare un collega spiega Rizzo – Per ordine del giudice il mio reintegro sarebbe costato il licenziamento per giusta causa a qualcuno. Senza contare che fra qualche mese anch’io avrei potuto anch’io ricevere lo stesso trattamento, dovendo iniziare un’altra battaglia legale”. In ogni caso, la somma che Telenorba dovrà sborsare per questa vicenda, tra compensi dovuti a Rizzo, con rivalutazioni varie più contributi e sanzioni da corrispondere all’Inpgi, potrebbe addirittura superare i 750.000 euro.

Il paradosso della vicenda è che l’azienda da un lato licenzia, dall’altro sperpera una quantità assurda di denaro. “Il pignoramento – spiega il giornalista – è molto inferiore all’esborso potenziale perché, d’intesa con i mei avvocati Caprio e Renna, aspettiamo di vedere cosa succederà adesso a Telenorba. So bene quanto la mia situazione potrebbe ripercuotersi sui dipendenti – aggiunge – ma cos’altro potevo fare? Telenorba neppure dopo la sentenza di appello si è fatta viva e abbiamo aspettato 4 mesi prima di fare un pignoramento a tappeto sulle banche con filiali a Conversano, dove ha sede legale l’azienda. Sono venuti fuori alcuni conti correnti, ma tutti in rosso. E dico anche che, nel doppio grado di giudizio, per cinque volte Telenorba è stata invitata inutilmente, talvolta anche dai giudici, a trovare un accordo. Avevo persino proposto nel giudizio di appello e in contraddittorio con l’ex direttore generale di Telenorba, Giuseppe Spada, che i magistrati quantificassero direttamente la somma a titolo di conciliazione. Mi sarei impegnato ad accettare anche cifre inferiori alle aspettative. Macché, pure di fronte ad un’offerta del giudice, infinitamente minore, il gruppo dell’ingegner Montrone ha rifiutato ogni accordo, riaffermando di voler andare a sentenza e, magari, fino in Cassazione”.

E sentenza è stata. Rizzo ha avuto ragione, seppure si tratta di una vittoria che lascia l’amaro in bocca per le scelte che l’azienda di Conversano, fiore all’occhiello(?) dell’editoria pugliese, continua a prendere in barba a qualsiasi rigor di logica. Adesso molto probabilmente sarà richiesta la parola definitiva alla Corte di Cassazione. “Se Telenorba facesse appello – ribatte Rizzo – anche noi abbiamo già pronto l’appello incidentale per far lievitare, e di molto, la somma dovuta per gli stipendi che, con una probabilissima correzione di sentenza in Cassazione, in effetti dovrebbero essere parametrati al contratto Fnsi dell’epoca e non al compenso mensile ora utilizzato nel pignoramento. Lo mando a dire prima, per mia consueta trasparenza e perché si faccia per tempo ogni scelta, pensando prima di tutto al futuro di Telenorba e dei suoi lavoratori, a cui mi sento molto legato. Poi, se qualcuno vuole continuare nel muro contro muro, io continuerò a non tirarmi indietro, non fosse altro che per amor di verità”. Si può tergiversare, ma prima o poi la verità viene a galla e si scopre che anche a Berlino c’è un Tribunale.