Ai piedi della piccola bara bianca ci sono le ciabattine blu, quelle che a Davide serviranno per compiere la sua ultima passeggiata. «Sarai il nostro angelo», dice don Mario durante l’omelia. Non può essere diversamente. È difficile farsene una ragione. Come può un bambino di 18 mesi morire dopo tre giorni in ospedale, nonostante i medici, persino contrariati dalle continue domande di due genitori preoccupati, ripetano all’infinito di stare tranquilli?

«Non è niente signira». La stessa frase che nonna Antonietta, presente anche lei nella chiesa di San Francesco per i funerali di Davide, si è sentita ripetere meno di 45 giorni fa, sempre nell’ospedale della Murgia. Anche Micaela, la sua nipotina di tre mesi, era stata portata da mamma e papà al pronto soccorso un sabato sera. Flebo, cortisone e le solite rassicurazioni. Dopo due ore l’intubazione e la corsa a Bari, dove Micaela, così come Davide, è arrivata morta. Era il 27 luglio. Solo un caso o non bisogna ammalarsi il fine settimana?

La chiesa è gremita. La musica allevia il dolore. Tanti silenzi, le parole di circostanza, le condoglianze, ma sopattutto le urla strazianti di nonna Caterina, determinata come tutta la famiglia nella ricerca della verità. Si spera molto nell’autopsia. Sul sagrato ci sono tanti palloncini, bianchi e celesti, lasciati andare al passaggio della bara. Un mare di gente, molti Davide non lo hanno neppure mai visto. Ciò che è successo, però, potrebbe accadere a qualsiasi figlio o nipote. La magistratura sta cercando di fare chiarezza, ciò che non si potrà mai schiarire è il futuro di mamma Paola e papà Vincenzo, che hanno già perso Rita. Sanno bene cosa sia il dolore straziante della perdita di un figlio.

All’uscita, con il portellone del carro funebre ancora aperto e uno degli altri due bambini in braccio, Vincenzo accarezza dolcemente la bara. Sguardo assente. Non ci sono più lascrime da versare. Non è solo un modo di dire. Tutto intorno silenzio, incredulità e una gran voglia di giustizia. Prima di avere un mancamento nonna Caterina urla ancora: «Assassini, me lo avete ucciso». Il suo Davide, bambino allegro, che sapeva come fare ad attirare l’attenzione su di sè, è stato portato al pronto soccorso dell’ospedale della Murgia al primo sentore. Chi ha già perso un figlio sa bene che il tempo è prezioso. Chissà come andrà a finire questa storiaccia. Chissà se davvero si tratta di un errore medico o di una fatalità inevitabile.

Questa è una di quelle storie che ti attraversa l’anima. Cinque minuti ancora e mestamente Davide inizia il suo ultimo viaggio, mentre i palloncini nascondono la croce in cima alla facciata della chiesa. La vita continua, ma facciamo in modo che sia meno cinica. Personalmente, papà di un bimbo di 16 mesi, voglio fare un appello ai medici, al netto delle colpe. Non smettete mai di ricordare le ragioni che vi hanno spinto a indossare un camice; se necessario, ripetete più volte al giorno il vostro giuramento. Anche la più atroce malattia può essere lenita da una carezza, da una parola di conforto. La sanità pugliese è malata, non datele il colpo di grazia; tenete conto cosa possa voler dire sopravvivere a un figlio che, forse, ha avuto la sola colpa di ammalarsi nel fine settimana.

Addio Davide, Micaela e Rita ti aspettano.