Si moltiplicano le testimonianze dei lettori su quanto accade tra le mura dell’Ospedale Pediatrico Giovanni XXIII. Ai racconti di Alessandra, di Tiziana e di Gabriella, si aggiungono numerose, incredibili testimonianze di chi ha vissuto un’esperienza traumatica là dove avrebbero dovuto alleviare le sofferenze dei piccoli. C’è anche chi, rassegnato, si spinge fino a Roma pur di non dover rivolgersi al così chiamato “ospedaletto”.

Filomena
Non chiamatelo ospedaletto un posto dove vai in pronto soccorso e dopo 4 ore di attesa ti rispondono che il piccolo necessita di ricovero ma non ci sono posti letto! Ti dicono di tornare il giorno dopo nella speranza che se ne liberi uno e nel frattempo vedi il tuo bambino stare male e cosa fai? Ti metti in macchina e raggiungi il “Bambin Gesù” a Roma dove in 4 ore ti danno una diagnosi! Scandaloso! E tutto questo documentato!

Rosanna
Non si può proprio chiamare “ospedaletto” quel posto dove ricoverano il tuo bimbo di sei mesi (e io – mamma – con lui) di sabato e devi aspettare il martedì perché tu figlio sia controllato perché di domenica non c’è nessun medico e neanche il lunedì (che era la festa dell’Epifania)! Senza dire che io (mamma ricoverata con mio figlio) ero sola in stanza e non potevo andare in bagno (che si trovava in corridoio). Dovevo aspettare l’orario di visita quando arrivava mio marito! Bruttissima esperienza. Spero noni capiti mai più!

Mari
Non chiamatelo ospedaletto se per un’analisi del sangue di routine che volevano fare per forza su mia figlia di 40 giorni l’hanno fatta piangere così tanto per il dolore che è svenuta e l’hanno rianimata con l’ossigeno. Ovviamente i genitori non dovevano entrare nella stanza “lager”…io fuori disperata con il cuore in mano perché sentivo piangere mia figlia con tutte le forze che aveva, avendo ripeto solo 40 giorni… e poi 1h di attesa al pronto soccorso estenuante perché le era uscita la mano dal polso e gli infermieri che dicevano che non era grave e poteva attendere, ma mia figlia era cianotica per i pianti di dolore.

Intanto dal Policlinico tutto tace