Rita Pavone voleva un martello. I volontari di protezione civile, invece, sembra abbiano un sogno ricorrente e, a quanto pare, proibito: avere fra le mani la paletta. Sapete, quella con cui si regola il traffico in occasioni di fiere, concerti, sagre. Recentemente a Bari è successo in occasione dell’ultimo, contestato passaggio del Giro d’Italia. Tutti eventi che, con l’arrivo dell’estate, si moltiplicheranno, moltiplicando anche un’attività non prevista dalla legge, diventata sport nazionale di molti sindaci. Vuoi che per un pezzo di focaccia e una birra, un buono pasto o benzina qualche volontario non agiti orgoglioso la sua paletta?

Qualcuno ci aveva segnalato l’irregolarità di questa prassi ormai consolidata e i dubbi si sono palesati proprio durante lo scivoloso passaggio della carovana rosa nel capoluogo pugliese. I volontari di protezione civile potranno mai esaudire il proprio sogno con le leggi vigenti, a meno del benevolo primo cittadino di turno che, in particolari momenti di difficoltà, attinge a mani basse nel mondo del volontariato per sopperire alle mancanze istituzionali? Si sa, in occasione di grandi eventi i vigili urbani non bastano mai, ma la risposta sembra un secco: “no”.

I provvedimenti di assessori e primi cittadini troppo zelanti, quelli che affidano ai volontari di protezione civile compiti di viabilità, assegnando loro anche “il porto di paletta” – esattamente come quella delle forze di polizia stradale – sarebbero privi di qualsiasi fondamento giuridico. Proprio così. A meno che non ci siano normative più recenti. Ogni provvedimento amministrativo che si rispetti, infatti, deve contenere un’adeguata motivazione e un chiaro riferimento normativo alle circotanze che consentano all’autorità emissaria dell’atto di esercitare un determinato potere, evitando di cadere nella trappola dell’abuso.

E qui arriva la nota dolente. Nessuna legge autorizza gli amministratori locali a chiamare in causa i volontari di protezione civile e tantomeno di mettere nelle loro mani la paletta. Non può essere quella per la pulizia della strada, figuriamoci la tipologia impiegata per regolare la viabilità in particolari condizioni durante le quali occorrono competenze specifiche. Purtroppo, però, i volontari fanno troppo spesso da stampella alle mancaze istituzionali, ai vuoti dello Stato, incapace di offrire servizi adeguati. In queste condizioni è sicuramente più facile rendere legittimo ciò che non lo è, piuttosto che colmare una lacuna.

Nei provvedimenti degli amministratori si trovano frequentemente richiami di legge che, se esaminati con attenzione, non consentono di delegare, autorizzare o chiamare in causa, a qualsiasi titolo, volontari di protezione civile. Il più frequente di questi richiami è l’art. 7 del codice della strada in cui tutto si dice, tranne che ad occuparsis di viabilità debbano essere i volontari. L’art. 24 del regolamento d’esecuzione al c.d.s. (che chiameremo d‟ora in avanti Reg. c.d.s. ndr) spiega che il segnale distintivo che i soggetti (art. 12 c.d.s.) che espletano i servizi di polizia stradale (art. 11 c.d.s.) usano quando non sono in uniforme, è quella comunemente vista nelle mani dei vari soggetti che operano sulla strada in divisa e, a volte, in borghese.

Il segnale distintivo regolamentare – la paletta per intenderci –  è un disco di 150 mm di diametro, con centro rosso di 100 mm di diametro e con manico di 300 mm. La nota posta sotto la figura “I.2 art. 24” del Reg. c.d.s. ci dice: «Tipo e dimensioni del segale distintivo del quale è munito il personale cui spetta la prevenzione e l’accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale». E allora cosa ci fanno i volontari con le palette in mano?

Se è consuetudine vedere volontari in divisa utilizzare una paletta come quella descritta (indipendentemente che si tratti di una giusta causa), è altrettanto vero che non può essere utilizzata da chi non è polizia stradale e per di più è chiaramente indicato che serve per la “… prevenzione e l’accertamento delle violazioni…”.  Nessun volontario può legittimamente usare, possedere o tenere su un veicolo del corpo o associazione cui appartiene una paletta simile.

Ma se la voglio usare lo stesso? Che mi fanno? Magari la compro solo col disco rosso, senza indicare sul bordo il nome del gruppo cui appartengo.  L’uso illegittimo del “segnale distintivo” può configurare la denuncia a piede libero (non si viene arrestati, tranquilli) per violazione degli artt. 323 Codice Penale (abuso d’ufficio) con una pena da 6 mesi a 3 anni di reclusione; oppure art. 471 C.P. (uso abusivo di sigilli e strumenti veri) con una pena fino a 3 anni di reclusione e multa fino a € 309,00.

Il tutto, manco a dirlo, con sequestro della paletta. Ancora, l’art. 497/ter del C.P. prevede che chi usa o detiene una “paletta” soggiaccia alla pena della reclusione da 1 a 4 anni. Senza contare che il successivo art. 498 punisce con una “semplice” sanzione amministrativa da € 154,00 a € 929,00 chi usurpa “titoli e onori” diversi da quelli previsti dall’art. 497/ter. In parole poverissime chiunque abusivamente “porti in pubblico divise o segni distintivi di un ufficio o impiego pubblico”.

E non serve neppure cercare di barare, creando palette – ma anche divise, simboli o distintivi – di dimensioni leggermente diverse, ma uguali per colori e forme perché il ministero dell’Interno, con la circolare del 17/3/2006 n° 557/PAS/3418-10100, ha chiarito e precisato che : «…rientrano nella fattispecie di cui all’art. 497/ter anche i segni distintivi che, pur senza riprodurre più o meno accuratamente gli originali, ne simulano la funzione: sono cioè idonei a trarre in inganno i cittadini circa la qualità personale di chi li dovesse illecitamente usare». Ma chi controlla gli abusivi della paletta?

Rita Pavone voleva un martello, forse per romperlo in testa a quanti continuano allegramente a fare come gli pare.