La seconda accoglienza nella città di Bari passa dall’autorganizzazione dei migranti. Ferrhotel, Ex Liceo Socrate, senza dimenticare Via Beltrami e Villa Roth, già oggetto di sgombero. Da ultima l’esperienza di una cinquantina di immigrati, tutti con protezione internazionale, che lo scorso febbraio hanno occupato l’Ex Casa del Profugo. Emergenza abitativa, sociale e chiaramente lavorativa.

«I primi anni, quando arrivi in Italia, devi decidere se con i pochi soldi guadagnati in campagna devi mangiare o pagare l’avvocato per i ricorsi». Rosarno, Rignano Garganico, Cerignola, Nardò. Se li è girati tutti “i campi di lavoro estivi”, veri e propri lager. «Dieci ore con la spalla piegata in cambio di venticinque euro», ci confessa Victor. Lui, rifugiato politico nato in Liberia, è uno dei ragazzi che da qualche mese risiede nell’ex Casa del Profugo. «Dove dormivo prima? In una piccola abitazione a Carbonara. Pagavo regolarmente l’affitto, 350 euro al mese, ma senza contratto. Il proprietario voleva sempre più soldi. Un bel giorno mi hanno buttato fuori e hanno incendiato i miei vestiti».

Insieme a Victor, dentro la struttura, che si sviluppa su tre piani, hanno trovato dimora anche una quarantina di migranti “provenienti” dal Centro di accoglienza di Bari-Palese. Tra loro ghanesi, eritrei, etiopi. Tutte persone già ascoltate dalla Commissione Territoriale che decide sulle richieste di protezione internazionale. «Una volta ottenuto il permesso di soggiorno, devi lasciare il Cara. Non ti dicono nulla, non danno spiegazioni, ti buttano fuori e basta. E se ti trovano di notte che dormi ancora all’interno di uno dei moduli, ti prendono e ti cacciano via. A me è successo a febbraio scorso», ci confessa Moro, un cittadino ghanese. Che aggiunge: «Se stai male e chiedi di essere accompagnato in ospedale, il personale della cooperativa ti risponde di no. Assurdo, c’è tanta gente all’interno del Cara che non sta bene e che non riceve adeguata assistenza sanitaria e psicologica».

Una denuncia che deve trovare adeguata risposta. Per il momento questi ragazzi stanno portando avanti un interessante progetto di recupero e autocostruzione. All’interno dell’ex Casa del Profugo, infatti, ognuno di loro contribuisce al miglioramento dell’immobile. Falegnami e carpentieri non mancano. Si dividono stanze, ridipingono muri, riciclano mobili. Diverse aree risultano essere già attrezzate e fruibili, tra queste quella riservata ai servizi igienici.

«Prevale il buon senso in questo momento. Ci sono state importanti aperture da parte del ministero dell’Interno per trovare una sistemazione per queste persone. Il progetto di autorecupero dell’ex Liceo Socrate, preso ormai a modello dallo stesso ministero, potrebbe essere un esempio da seguire. Esistono tanti immobili di proprietà del Comune o della Provincia che potrebbero essere riutilizzati per finalità sociali», afferma Federico Cuscito del Collettivo “Rivoltiamo la Precarietà”. Davanti all’assenza di adeguate politiche inclusive in favore dei migranti la risposta, come sempre, non può che partire dal basso.

Gianpietro Occhiofino