Riceviamo e inoltriamo il testo di una lettera scritta da Laura Rizzo, spettatrice insoddisfatta de “La traviata”, diretta da Ozpetek, andata in scena lo scorso 29 marzo al teatro Petruzzelli. Lo scontento della donna non è stato causato dall’opera in sè, ma dalla maleducazione di alcuni spettatori unita alla cattiva organizzazione del teatro.

Sabato 29 marzo, al teatro Petruzzelli, ho assistito alla Traviata, regia di F. Ozpetek. Categoria biglietto: loggione. Non palco, non platea, ma loggione. Il primo problema che si pone, con quel tipo di posto, è arrivare in tempo, anche molto prima e scegliere un sedile che ti permetta – vista la scarsa visibilità nota ai più – di poter godere dello spettacolo al meglio che si può. Il costo è bassissimo, proprio per questo. Scarsa visibilità, scomodità, colonne del teatro poste in alcuni punti a occultare il palco, ma sempre costo bassissimo. Forse però non tutti ne erano al corrente e quindi la gente è arrivata in punta all’inizio o ad opera già iniziata (inaudito!), passando davanti, alzandosi, cambiando posto, spostandosi, battendo i tacchi per terra, facendo sbattere le porte dell’ingresso. Tutto sotto le orecchie esterrefatte di chi voleva rapire quel momento di magia iniziale che è svanito per sempre. Alla fine del primo atto, sono andata a protestare con la maschera, chiedendo di far accomodare le persone e di invitarle sia a non spostarsi di posto in posto, sia a non fare rumore con le scarpe, sia a non brontolare ad alta voce mentre Violetta cantava Sempre libera…e beata lei. Noi certo liberi non ci sentivamo, ma braccati dalla maleducazione e dal cattivo gusto. Ma, a luci accese, ho potuto constatare che effettivamente il loggione era in overbooking, che nemmeno la Ryanair. Credo siano stati venduti più biglietti dei posti previsti e quindi la protesta, non certo silente, mentre i due amoreggiavano sul palco e a me lo stomaco si distruggeva per il nervosismo, era abbastanza legittima. Ma. Est modus in rebus, come sempre. Il secondo atto è andato liscio, le zingarelle e i toreri hanno cantato e ballato, senza troppo schiamazzo. Il colpo al cuore che ha rischiato di far morire me, prima di Violetta, è stato alla fine. Parigi o cara cantavano sul palco, mentre in massa, nel loggione suddetto, giungeva una squadra di signore delle pulizie. Cinque, tutte vestite di bianco, armate di scope e buste. Sono entrate facendo nuovamente sbattere le porte, brandendo le scope e producendo quell’insopportabile rumoraccio di buste, che già ti turba se qualcuno lo fa a casa, mentre cerchi di afferrare la notizia al tg, figuriamoci nel finale travolgente. Sconcerto. Sgomento. Incredulità. Rabbia. Non era il momento, bastavano cinque minuti e l’opera finiva senza questo scempio.

La gente è stata maleducata. Non si è saputa gestire. Ha commentato, fatto le foto, acceso i telefonini nei momenti più delicati della recita. Ma anche il teatro non ne è uscito indenne. Non possono accadere cose del genere e rovinare uno spettacolo bellissimo. Oggi mi resta il ricordo del fastidio provato. Spero che domani riaffiorerà tutt’altro.