Un ragazzo di colore di 33 anni ha un malore e stramazza al suolo. Succede la sera di lunedì 11 novembre in una palestra di Adelfia. Dalla vicina postazione del 118 (gestita dall’associazione Aver) – della quale ci eravamo occupati qualche tempo fa per via di alcuni soccorritori sprovvisti di corsi regolari – arriva un’ambulanza. I soccorritori prendono il defibrillatore, ma non viene evidenziato un ritmo defibrillabile. Un volontario effettua le operazioni di rianimazione previste dal protocollo per 13 minuti. A quel punto giunge una seconda ambulanza, con un medico a bordo. Il defibrillatore della medicalizzata consente la scarica. Il pazienda alla fine si salva. Fin qui ciò che è accaduto.

Perché il defibrillatore della prima ambulanza non ha defibrillato? Era guasto? C’è stato un errore? Mettiamo subito le cose in chiaro: un apparecchio può avere delle avarie, figuriamoci. Per fortuna chi è intervenuto sapeva perfettamente ciò che bisognava fare. Se non è successo niente di che, come ci è stato detto, perché sulla vicenda è stata fatta una relazione alla Centrale operativa? Era la prima volta? Perché, se tutto è andato come doveva andare, il defibrillatore è stato sostituito?

Purtroppo non siamo in grado di rispondere a queste domande. A fare chiarezza sulla vicenda, a dirci se ci sono stati problemi, saranno gli specialisti a cui è stato affidato questo incarico. Il soccorso che vi abbiamo raccontato (con le reazioni che, purtroppo, continuano a essere sempre un po’ esagitate), fanno nascere alcune riflessioni: non si può far salire a bordo delle ambulanze personale senza b-lsd; non si possono far salire a bordo delle ambulanze persone senza corsi e attestati regolari; la riorganizzazione del 118 è indispensabile, perché il clima non è sereno.

Grazie ai soccorritori, ai medici e agli infermieri che fanno al meglio delle proprie possibilità il proprio lavoro. Sì, perché per quanto si possa far credere il contrario, si tratta di un lavoro, altamente gratificante e, allo stesso tempo, logorante.