La Carta nasce da una riflessione collettiva, maturata all’interno delle redazioni carcerarie, tra coloro che fanno giornalismo in carcere e sul carcere. Da questo dibattito è emersa la necessità di “informare gli informatori”, che troppo spesso scrivono di carcere e di esecuzione penale ignorando cosa prevedono le leggi che regolano questa materia.

La Carta afferma sostanzialmente che non è ammessa per i giornalisti l’ignoranza della legge e sono leggi quelle che consentono a un detenuto di accedere a benefici e misure alternative. La possibilità di riappropriarsi progressivamente della libertà non mette in discussione la certezza della pena. Semplicemente, un giudice ha deciso un diverso modo di espiazione della pena, con tutti i limiti previsti dalle misure alternative  applicate.

La Carta invita a tenere presente che il reinserimento sociale è un passaggio complesso che dovrebbe avvenire gradualmente, come previsto dalle leggi che consentono l’accesso al lavoro esterno, i permessi premio, la semi-libertà, la detenzione domiciliare e l’affidamento in prova ai servizi sociali. Le misure alternative non sono equivalenti alla libertà, ma sono una modalità di esecuzione della pena.

 

La Carta fa riferimento anche al diritto all’oblio. Una volta scontata la pena, l’ex detenuto che cerca di ritrovare un posto nella società non può essere indeterminatamente esposto all’attenzione dei media che continuano a ricordare ai vicini di casa, al datore di lavoro, all’insegnante dei figli e ai loro compagni di scuola il suo passato.

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Comunicato stampa