I fatti risalgono al 1999, quando l’Italia effettuò con la Nato un intervento militare per appoggiare il movimento indipendentista kosovaro, schiacciato dalla repressione del dittatore serbo Milosevic. L’esecutivo di D’Alema, allora in carica, decise di realizzare un vasto progetto di aiuti per almeno 30mila dei 250mila profughi fuggiti in Albania, battezzato “Missione Arcobaleno”. Seimila rifugiati furono addirittura ospitati nell’ex base militare di Comiso, vicino a Ragusa.

Ad agosto, due mesi dopo la resa della Serbia, sui media italiani apparvero indiscrezioni su presunti sprechi e furti tra chi aveva orchestrato i soccorsi. Fu l’attuale sindaco di Bari, Michele Emiliano, all’epoca pm del capoluogo pugliese, a occuparsene per primo per conto della magistratura.

Il polverone fece nell’immediato vittime eccellenti, come Franco Barberi, che si dimise da sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, e la stessa leadership del premier perse credibilità. Il rinvio a giudizio per 19 imputati arrivò soltanto nel 2008: tra loro Massimo Simonelli, capo della Missione in Albania, Fabrizio Cola, sindacalista dei Vigili del fuoco e Roberto Giarola, ex segretario di Barberi.

Per l’accusa gli indagati avevano formato un’organizzazione costituita da «una fitta rete di rapporti personali intrattenuti con esponenti apicali della politica, del governo, del sindacato e della pubblica amministrazione». Per tutti la prescrizione è ormai certa.

 

Vincenzo Drago