Il Consiglio Superiore della Magistratura, chiamato a decidere sull’eventuale incompatibilità di Laudati con la procura di Bari, infatti, potrebbe chiudere la vicenda senza attribuire eventuali responsabilità o ragioni. Il motivo è tutto in una sentenza del Consiglio di Stato dello scorso mese di giugno.

Tale provvedimento annulla il trasferimento per incompatibilità ambientale del gip Clementina Forleo, da Milano a Cremona: trasferimento stabilito proprio da un precedente verdetto del Csm, del 28 luglio 2008 , che era stato chiamato a decidere sulla condotta del magistrato originario di Francavilla Fontana, in merito ad alcune dichiarazioni da lei rilasciate a stampa e televisione: in particolare, un’intervista per il programma televisivo “Annozero”, diretto dal giornalista Michele Santoro.

A circa tre anni di distanza da quel provvedimento, il Consiglio di Stato ha dato ragione al Tar del Lazio che già nel 2009 aveva stabilito che Clementina Forleo sarebbe dovuta rimanere a Milano. La sentenza del Consiglio di Stato, in sintesi, limita i poteri dello stesso Csm, richiamandosi al principio di “inamovibilità” dei magistrati, sancito dalla nostra Costituzione, che li tutelerebbe  non solo dalle possibili ingerenze di altri poteri “ma anche all’interno dello stesso ordine giudiziario”.

La Forleo aveva indagato sui “furbetti del Quartierino” e sui loro rapporti con alcuni politici. Da quel momento erano iniziate le sue vicissitudini personali e giudiziarie. Quello stesso Csm che nel giugno 2007 l’aveva promossa, all’unanimità, da magistrato di tribunale a magistrato di Corte d’Appello, «per la capacità,  la laboriosità, la diligenza e la preparazione dimostrata nell’esercizio delle funzioni espletate», poco tempo dopo la condannava al trasferimento per incompatibilità ambientale.

La sentenza del Consiglio di Stato, nel caso specifico di Clementina Forleo, stabilisce anche che le dichiarazioni rilasciate dal magistrato agli organi di stampa, avrebbero potuto essere giudicate al massimo come una «trasgressione di qualsiasi dovere etico e deontologico» e, magari, essere censurate, ma non rappresentavano un comportamento in grado di «incidere in modo pregiudizievole sull’indipendente e imparziale esercizio della funzione giudiziaria».

 

Eva Signorile