Mi chiamo Maria Foggetti, sono un’educatrice professionale e lavoro con minori e famiglie disagiate. Intervengo dopo le tremende notizie degli ultimi giorni e le contestazioni mosse al pocuratore generale di Bari, secondo il quale i servizi sociali baresi sono latitanti. La mia è una testimonianza di anni di lavoro nel settore, che spero possa fare riflettere coloro che negano quanto affermato dal procuratore con una levata di scudi ingiustificabile.

LA LETTERA – Mi rivolgo a tutte le istituzioni che si occupano del delicato mondo del sociale e delle sue immense problematiche, a quelle persone che dovrebbero difendere la vita dei cittadini e di tanti minori abbandonati e dimenticati da tutti, vittime spesso di
situazioni aberranti dinanzi alle quali spesso è più facile chiudere gli occhi, piuttosto che affrontarle seriamente. Sono un’educatrice professionale e da più di 15 anni lavoro nel settore sociale a contatto diretto con famiglie disagiate, in cui a farne le spese sono i minori.

Noi educatori non siamo insegnanti di sostegno, baby sitter o assistenti sociali come spesso crede la gente. Siamo persone formate, che amano il proprio lavoro e che vivono da dentro le vite di quelle persone che spesso le istituzioni si limitano a vedere da dietro le aride scrivanie dei loro palazzi ed uffici. L’educatore entra nelle case in cui nessuno vorrebbe mai entrare, nei quartieri dimenticati da Dio; cerca di capire cosa accada in certi nuclei familiari e per verificare la fondatezza delle segnalazioni che arrivano ai servizi sociali.

Non siamo affatto poliziotti, noi non giudichiamo, non condanniamo mai nessuno, ma osserviamo, ascoltiamo la gente, quella parte della società emarginata che spesso i servizi sociali in primis snobbano o verso la quale molte persone provano schifo e disgusto. Non a caso sono rare le visite domiciliari degli assistenti sociali nei nuclei rispetto a quelle di cui ci sarebbe bisogno, perché molti dicono di non aver tempo, altri non vogliono sporcarsi le mani. Hanno paura, ad altri ancora interessa il puro e comodo lavoro di ufficio.

L’educatore spesso vive i problemi di queste famiglie, cerca di capire le loro vite senza filtri, perchè sono persone e non numeri. Si lavora spesso con contratti di poche ore a settimana, che non possono bastare a capire la realtà in cui si è catapultati, a comprendere a
fondo la gravità di un caso o poter verificare effettivamente cosa stia succedendo in quella casa o in quel quartiere, a quel minore o persona per cui si è richiesto l’intervento educativo.

A volte sei con le mani legate, ti riducono le ore e laddove denunci situazioni gravissime, che meritano più attenzione, i servizi sociali ti guardano come fossi un alieno, limitandosi a dire quella fatidica frase divenuta ormai una triste nenia: “Non possiamo rafforzare l’intervento, non ci sono soldi”. Ma l’educatore continua il suo lavoro, cercando di aiutare per quanto
possibile quelle famiglie e laddove sia necessario, di capire e studiare attentamente la situazione per tutelare i minori al loro interno.

Tante famiglie non accettano la nostra figura, ci si trova in situazioni paradossali. Molti di noi ricevono minacce nel momento in cui si inizia a capire cosa accade. Ancor più grave è la situazione che si crea laddove i comuni, consapevoli di cedere e affidare i servizi di assistenza educativa a cooperative poco serie, continuano comunque a farlo per chissà quali misteriose dinamiche e cosi ci troviamo ad affrontare oltre al peso del nostro ruolo, l’ansia del restare senza stipendio per mesi o l’essere sottopagati, lavorando con un profondo disagio interiore e poca serenità mentale.

Nel momento in cui l’operatore capisce che nella famiglia qualcosa davvero non va e scopre terribili verità, ecco che come un povero illuso corre a scrivere le sue classiche relazioni in cui denuncia quello che vede. Passano a volte mesi, oppure anni prima che quelle importanti relazioni, dirette ai servizi sociali, abbiano una risposta. Ma perché? Non si sa. Nella realtà dei fatti non sono lette con attenzione. si sceglie di far finta di nulla, o peggio ancora si tarda a segnalare e denunciare il caso al Tribunale dei Minori. Paura? timore di ritorsioni? Non credono a quello stesso operatore che mandano in casa? Omertà? Menefreghismo? Tempi
burocratici ? Mistero.

Passano mesi, il caso si aggrava, il telefono dei servizi sociali squilla ed il povero educatore segnala, avvisa dell’urgenza di un intervento mirato delle autorità competenti, ma nulla. Si prende tempo. In quel preciso istante capisci di essere solo, a parte qualche collega sfigato come te, con cui cerchi di confrontarti e sfogarti. A volte cerchi di parlarne con i responsabili. C’è un’ottima supervisione da parte degli psicologi, alcuni per fortuna ti ascoltano e con grande professionalità si attivano tempestivamente per risolvere la questione, seppure tanti di loro negli anni hanno dimostrato di temere l’inapsrimento dei rapporti con gli assistenti sociali, forse per non perdere la collaborazione. Ci rendiamo conto? Perché è questo che a volte succede.

“I servizi sociali sono latitanti”, condivido a pieno la riflessione del procuratore della Repubblica Volpe pubblicata sui giornali di qualche giorno fa e confermo il mio totale disappunto verso coloro che hanno avuto il coraggio di controbattere e di insinuare che le sue parole fossero state accuse esagerate. La verità è una sola, che se non accade la tragedia, se non assisti all’omicidio, alla violenza diretta, alla scena del parente pedofilo che violenta il bambino davanti a te, al padre che picchia la moglie, alla madre che si prostituisce davanti ai suoi figli, ai genitori che maltrattano i loro bambini e tanto altro, si fa in modo che tutto vada bene e che si possa aspettare. Non ci sono loro in quelle case.

Così si continua a dormire sonni tranquilli sulle relazioni di quegli educatori che cercano, tra mille difficoltà, di tutelare quei minori e prevenire tragedie come quelle che ultimamente hanno colorato di nero le pagine della cronaca barese. Tragedie che potevano forse essere evitate. Bisogna avere il coraggio di fare bene e sino in fondo il proprio mestiere. Dobbiamo essere tutti più attenti e pronti ad intervenire mediante un serio lavoro di rete. Bisogna ammettere le proprie responsabilità.

Basta nascondersi dietro le belle parole, la verità è che molto spesso si é soli a lottare contro un sistema latitante, che non interviene come e quando dovrebbe sin dalle prime segnalazioni.’

Dott.ssa Maria Foggetti – Educatrice professionale