Un No tranquillo, ma convinto. Il mondo accademico del Mezzogiorno si mobilita in vista dell’ormai imminente referendum costituzionale e lo fa con un appello nasce a Bari i cui autori sono Gianfranco Viesti e Onofrio Romano (Università degli Studi di Bari) e che ha già raccolto diverse firme di peso come quelle di Nicola Costantino (ex Rettore del Politecnico di Bari) e Corrado Petrocelli (ex Rettore dell’Università degli Studi di Bari).

“È un ‘No’ che guarda al futuro del Mezzogiorno – attacca Giuseppe Garofalo, coordinatore FLC Cgil PoliBa e Referente Universitario di Libertà e Giustizia Bari – Siamo contrari alla concentrazione del potere nell’esecutivo (si pensi solo al c.d. voto a data certa che darebbe la priorità assoluta nei lavori parlamentari ai disegni di legge governativi privando il Parlamento di darsi in autonomia la propria agenda) ma soprattutto allo svilimento del ruolo delle Regioni a causa della reintroduzione della c.d. clausola di supremazia che consentirebbe allo Stato di legiferare nelle materie di competenza delle Regioni . Poi un invito al sindaco Antonio Decaro: “Riteniamo essenziale che il presidente dell’Anci si confronti con le ragioni del ‘No’ al Campus”.

Pubblichiamo di seguito l’appello completo:

Dal Mezzogiorno, un tranquillo ma convinto “NO” al referendum costituzionale

https://www.facebook.com/Dal-Mezzogiorno-un-tranquillo-ma-convinto-NO-al-referendum-costituzionale-1823109014627638/

“Ad avviso delle firmatarie e dei firmatari di questo documento, il 4 dicembre è opportuno votare NO se si hanno a cuore le prospettive di sviluppo di lungo periodo dell’Italia e del Mezzogiorno in particolare. 

Il progetto di riforma costituzionale è complesso. Già questo ne rende difficile la valutazione da parte dell’elettore. Alcune modifiche sono apprezzabili, come sottolineato nel documento dei 50 costituzionalisti per il No (in cui ci riconosciamo ampiamente), a partire dal superamento del bicameralismo perfetto. Tuttavia, come gli stessi costituzionalisti sottolineano: “questi aspetti positivi non sono tali da compensare gli aspetti critici”.

Due sono a nostro avviso particolarmente rilevanti. In primo luogo, la forte concentrazione e personalizzazione del potere esecutivo; che, fra l’altro, disporrà di una corsia preferenziale nel nuovo processo legislativo. Un processo affidato in gran parte ad una sola Camera saldamente controllata dal Premier, grazie alla nuova legge elettorale (per la quale gli annunciati propositi di cambiamento, oltre a essere poco credibili in caso di vittoria del Sì, non mutano in maniera sostanziale questo dato). Siamo convinti, invece, che in un sistema democratico ben rappresentativo e ben funzionante debbano esservi più forti meccanismi di “controllo ed equilibrio” e un ruolo più rilevante per il Legislativo. La capacità di governo non è minata oggi da fattori istituzionali, ma dalle debolezze della politica.

In secondo luogo, il forte accentramento nell’esecutivo nazionale dei poteri di governo del paese, a danno delle Regioni. Una forma di accentramento confusa e incoerente. Gli ingiustificati privilegi per le regioni a statuto speciale vengono lasciati intatti; mentre per le regioni più ricche, con i bilanci più sani, vi è la possibilità di tornare ad acquisire rilevanti competenze. Certo, le regioni non hanno dato buona prova (specie al Sud – anche se non sempre e non solo). Ma, di nuovo, questo è un problema più politico che istituzionale. I Ministeri, del resto, non hanno dato miglior prova delle regioni. Una società articolata e multiforme, come la nostra, non si governa per decreti da Roma, ma attraverso un’indispensabile collaborazione fra livelli di governo e rendendo i cittadini partecipi delle scelte.

Il Sud è nel pieno della peggiore crisi della storia unitaria. Presenta tendenze assai preoccupanti. Per il suo futuro, e quindi per il futuro dell’intero paese, è indispensabile tanta buona politica e tante buone politiche: un forte rilancio degli investimenti e un ridisegno dei grandi servizi pubblici che ne accresca qualità, efficienza e sostenibilità economica. Occorre assicurare che i diritti di cittadinanza siano riconosciuti per tutte le italiane e gli italiani, e che i servizi ai cittadini (soprattutto in materia sociale) siano di livello elevato e il più possibile omogeneo in tutto il paese.

Ma la logica di “ricentralizzazione” che ispira la riforma non garantisce in alcun modo questo obiettivo: provvede solo a dare al Governo centrale la possibilità d’imporre ai territori le sue scelte, anche quelle potenzialmente dannose.  Ciò è ancora più rilevante perché le scelte politiche già compiute negli ultimi anni – promosse dagli esecutivi senza un sufficiente dibattito parlamentare – stanno rendendo diritti e servizi diseguali, sempre più dipendenti dalla ricchezza dei territori; stanno accrescendo di più la pressione fiscale in quelli più deboli, concentrando i pochi investimenti nelle aree più forti del paese, ridisegnando sanità, scuola, welfare in misura diseguale, a danno del Sud. Specie con l’attuale esecutivo, ha preso forma ad esempio una profonda trasformazione e concentrazione del sistema universitario che avrà effetti gravissimi sul futuro civile ed economico del Sud.

Pensiamo che in Italia, specie al Sud, ci sia tanto da cambiare, da innovare. E in fretta. E, specie al Sud, facendo tesoro anche dei propri errori. Ma siamo fermamente convinti che nella nostra società le vere riforme – quelle che servono e poi funzionano davvero – possano nascere solo da un profondo confronto democratico, anche con un’attenta rappresentazione e composizione delle diverse esigenze territoriali; e dall’interazione tra più saperi, conoscenze, culture politiche. Il Principe illuminato – come frutto della riforma costituzionale – che guarisce un paese indebolito con le sue infinite conoscenze e le sue rapide azioni è, a nostro avviso, solo una pericolosa illusione”.