La retribuzione oraria aumenta ma l’azienda istituisce l’ora produttiva e paga cronometrando le chiamate. È la nuova “moda” del lavoro nei call-center. Dal primo gennaio 2017, in base al contratto collettivo nazionale per i collaboratori a progetto nei call-center outbound, la retribuzione lorda oraria minima è salita a 6,51 euro. Nel barese, però, c’è chi si è fatto furbo.

Parliamo di un centro della provincia che, come tanti, offre servizi di outbounding a diversi committenti, dalla telefonia alla pay-tv. Il call-center in questione, da quanto abbiamo appreso, a gennaio ha pagato gli stipendi tagliando un forfettario 10% (senza apparente motivo) rispetto al nuovo minimo garantito: 5,87 euro all’ora. Il racconto è di un lavoratore che, per ovvi motivi, resterà anonimo. Ma il bello deve ancora venire.

Dal 1 febbraio ecco un nuovo contratto: la retribuzione lorda è quella prevista dal testo collettivo nazionale (più bonus) ma viene istituita “l’ora produttiva” composta dai tempi di composizione, conversazione, post-chiamata più una piccola pausa. Significa, in sostanza, che il pagamento non è più a ore “effettive”, ma in base ai minuti trascorsi al telefono o in operazioni al computer strettamente correlate. Inoltre il software che dovrebbe tenere il conto al momento non funziona: “Non sappiamo quante ore abbiamo accumulato fino ad ora”.

Da quanto ci è stato raccontato sarebbe quasi impossibile fare “il 100% di chiamate rispettando le percentuali di contratto – spiega il lavoratore – significherebbe chiamare per 8 ore al telefono ininterrottamente e quindi ci scordiamo i 6,51 euro all’ora”. Insomma: fatta la legge, trovato l’inganno.

Per uno dei lavoratori del call-center questo significa mediamente circa 180 euro in meno rispetto a quanto gli spetterebbe. Una beffa: “Chiediamo semplicemente che venga rispettata la retribuzione oraria minima” è l’appello degli addetti.