“Non posso venire a lavorare oggi, il medico mi ha diagnosticato un principio di bronchite e ho la febbre alta”. Se carichi e scarichi materiali pesanti sai che in quelle condizioni potresti essere un pericolo per te e per gli altri e allora chiedi una mezza giornata di tregua, anche perché sarebbe la prima volta negli ultimi tre o quattro anni. La visione del datore di lavoro, però, è diversa. “Non me ne frega niente se hai la bronchite, potresti stare per morire, devi venire a lavorare. In caso contrario rimani a casa anche domani, il mese prossimo e l’anno prossimo”.

Succede ancora, purtroppo, indipendentemente dai concertoni o dalle marce. Succede a Bari, non in uno sperduto paese di chissà quale pezzo del mondo arretrato. Un lavoraccio che ti spacca la schiena, ma anche la dignità se hai superato i 50 anni e quel fottutissimo pezzo di pane a casa lo devi portare. Sì, perché i tuoi figli non possono aspettare per mangiare, andare a scuola. Lasciamo stare lo svago, parliamo dell’essenziale.

Tutto per 500 euro al mese in busta paga e altri duecento in nero, ballerini, perché non sai mai quando arriveranno. Se diventa troppo il credito allora si va di forfait; dalla mattina quando il sole non è ancora sorto a quando non ce più la sera. Sempre, con o senza l’ora legale, perché in certi postacci, in cui il sindacato, gli ispettori del lavoro e la Guardia di Finanza non mettono piede, il sole sostituisce il cartellino.

Ma c’è la pausa. La pausa? Dieci minuti per addentare un panino e andare al bagno. Bene fai a non fumare perché di quella sigaretta devi dare conto a chiunque, anche al capetto che informa il datore di lavoro di tutti i tuoi passi. Lui, che non ha ancora figli, i 200 euro in nero neppure li prende. Ciò che impressione è la diffusione di queste storie di diritti calpestati sul luogo dello sfruttamento. Sì, perché questo non è lavoro. Dedichiamo questo Primo Maggio, rimasto soprattutto un simbolo, un concerto, una marcia, la festa e non la memoria, il giorno del comizio, a chi ha smesso di lottare, perché non ha più la forza di farlo e ormai non crede più a chi dovrebbe tutelarlo e gli dice: “Non possiamo fare molto per la tua situazione. Tieniti strette quei 700 euro perché c’è crisi”.

Un monito per chi protesta e sciopera per la tredicesima, per uno stipendio arretrato, per il contratto bloccato da dieci anni, per un trasferimento negato, per un giorno in più di ferie.