Pianti, rabbia, cordoglio, solidarietà e poi leggi ad hoc e tolleranza zero. Se ci pensate, è la prassi italiana che segue a qualsiasi disastro o morte che indigna, come quella di un ragazzino colto da infarto sul campo di calcetto in una qualsiasi periferia italiana. È successo anche in Puglia. Passato il santo, però, passa anche l’indignazione e le maglie dei controlli si fanno meno serrate.

C’è tempo per piangere un altro morto, per generare un’indignazione di massa a comando, prima di abbandonare nuovamente le famiglie che hanno subito il lutto. E allora, nell’Italia dei cachi, degli incarichi ad interim, delle nomine per simpatia acclarata, degli affidamenti diretti, ma soprattutto delle proroghe selvagge di qualsiasi cosa, è slittato dal 20 luglio al 30 novembre l’obbligo per tutte le società e associazioni sportive di dotarsi di defibrillatori semiautomatici. Gli apparecchi che nella maggior parte dei casi sono l’ago della bilancia tra la vita e la morte.

Lo ha stabilito il Ministero della Salute con un decreto, che differisce i termini di quattro mesi e dieci giorni. Ma quanto tempo ci vuole per fare qualcosa in questo maledetto Paese? La proroga, a sentir loro, è sacrosanta: arriva per consentire sul territorio nazionale il completamento dell’attività di formazione degli operatori sportivi del settore dilettantastico sull’utilizzo del dispositivo salvavita.

In Puglia l’autorizzazione all’Fmsi per organizzare corsi di formazione è in fase di approvazione da parte della Regione. In fase di approvazione? Ancora? Su certe questioni non si può prendere tempo. Tranquilli, però, fino al 30 novembre non muore nessuno. C’è l’amnistia.