Una giornata come quella di ieri non la dimentichi. La storia è sempre quella: i giornalisti sono sciacalli, ma non si può fare a meno della loro faccia tosta per portare alla luce storie e fatti  altrimenti sepolti, in questo caso dalle lamiere accartocciate dei due convogli pieni di pendolari: studenti, pensionati, operai. Gente comune pronta a un’altra levataccia, mentre quelli con la pancia piena un treno come quello non sanno neppure com’è fatto.

Dopo dodici ore sul luogo del disastro, al palazzetto dello sport e all’ospedale di Andria, dove altra gente comune prestava soccorso ai feriti, vedendo morire i più gravi, intorno alle 23 ho assistito a una scena altrettanto difficile da dimenticare.

Due auto entrano nella campagna dove stavamo cercando l’auto del collega lasciata sotto chissà quale ulivo di giorno e ormai invisibile nel silenzio della notte. In una delle due macchine c’è una coppia. Il marito cerca di accendere la torcia del cellulare. La moglie ha un bambino in braccio. Avrà avuto cinque anni. Si vedevano le sagome. Mi chiedono come fare ad arrivare sul luogo del disastro, dove ancora non fanno avvicinare nessuno. Vigili del Fuoco e soccorritori scavano a mani nude perché ci sono altri cadaveri.

Penso siano parenti, amici di qualche disperso. È a quel punto che inizia il dialogo di un tempo che non appartiene neppure a noi “sciacalli”. Siete parenti? mi dispiace profondamente per quanto è successo, spero riusciate ad avere presto buone notizie. L’approccio è quello di chi non aveva visto altro che morti e feriti, lacrime e disperazione.

L’uomo, con un sorriso beffardo, risponde come se stesse andando a vedere al cinema un film su un incidente ferroviario: “No, non siamo parenti, siamo solo venuti a vedere la scena per fare qualche foto da avere sul telefonino. Un fatto così quando ricapita più”. Avrei voluto dargli un pugno in faccia, invece, non ho avuto neppure la forza di rispondere. Mi sono consolato con l’immagine della mamma trovata abbracciata alla figlia nell’ultimo tentativo di strapparla alla morte. Non ce l’hanno fatta entrambe, insieme ad un’altra trentina di persone. Sarò anche uno sciacallo, ma dopo aver fatto il mio lavoro, dopo aver cercato di raccontare il disastro in maniera rispettosa e appassionata, le foto dal mio telefonino le ho cancellate.