Il calcio è così: una vittoria ti fa eroe, la sconfitta del giorno dopo ti rende improvvisamente cialtrone. Il Bari altalena dei Mataresse è stato per trent’anni l’esempio lampante della schizofrenia congenita di chi non può fare a meno di essere tifoso. Anche chi ha contestato duramente don Vincenzo, fino ad andare sotto casa a chiedergli duramente di togliersi dalle scatole – come se gli striscioni e i cori allo stadio non bastassero – adesso non può non rendere l’ultimo saluto al presidente i cui funerali si terranno domani 15 giugno alle 12 a San Sabino. La camera ardente, invece, oggi a casa oppure dalle 7 di domani presso la sede dell’impresa di famiglia.

Promozioni indimenticabili e retrocessioni che ancora bruciano nel cuore dei tifosi. Bandiere di casa nostra come Loseto o Maiellaro e poi super bidoni alla Thomas Doll; campioni veri del calibro di David Platt o stelle nate all’ombra di San Nicola e diventate grandi. Su tutti Cassano, Zambrotta e Perrotta. Decine e decine di giocatori, coccolati o presi a sberle. Momenti di gloria e abissi da cui tentare di risalire, fino all’ultimo, quel fallimento mai suprato.

Vincenzo Matarrese non era un presidente, nemmeno un costruttore e men che meno un muratore. Lui era un vero personaggio, reso icona da una parodia memorabile che Toti e Tata dedicarono a Vincenzino e Tonino, i due fratelli riusciti a scalare anche i vertici del calcio internazionale. Icona per le sue uscite, come quando al grido “Noi siamo di serie A”, difendeva il suo Bari dal memorabile attacco di Gaucci.

Un uomo che ha caratterizzato la storia della città, non solo quella calcistica. Era capace di sorriderti a trentadue denti e lasciarsi andare se ti prendeva in simpatia, oppure rendersi odioso, soprattutto quando mettevi in discussione il suo amore per la squadra. Era sanguigno. Lo potevi amare oppure odiare. Sì, perché era sua la squadra e la difendeva con le unghie e coi denti.

Padre e padrone dal pugno di ferro. Tanti colleghi giornalisti hanno perso la faccia per l’eccessiva vicinanza al presidente, tanti altri sono passati alla storia come contestatori a prescindere. Il calcio è così, un giorno sei eroe, quello dopo un cialtrone. Vincenzo Matarrese era Vincenzo Matarrese. Punto. Adesso se n’è andato davvero via da Bari, a imparare agli angeli a fare il tifo per il suo Bari. Addio presidente. La salutiamo con la commozione di chi non vuole ammettere di essere dispiaciuto per la sua scomparsa, solo perché da vivo le ha augurato la morte… calcistica.