“Il procedimento disciplinare in oggeto nei confronti del dottor Francesco Papappicco è inammissibile e improcedibile”. Dopo la fine con tirata d’orecchi del procedimento disciplinare a carico di Francesca Mangiatordi, con l’assoluzione di Francesco Papappicco, il Collegio arbitrale della Regione Puglia ha messo la parola fine sull’assurda storia dei due medici costretti a incatenarsi e a fare lo sciopero della fame per rivendicare la propria libertà di critica nei confronti della Asl di Bari, del Coordinamento del 118 e dell’Ospedale della Murgia. Costretti all’umiliazione e alla lotta per la voglia di migliorare un sistema malato fino al midollo. Nel caso di Papappico, poi, un procedimento disciplinare grottesco, contraddittorio e pieno zeppo di violazioni di leggi contrattuali e della privacy, in cui erano persino sbagliate le date dell’episodio artatamente costruito: i soccorsi a Domi Martimucci rimasto vittima dell’attentato alla sala giochi Green Table di Altamura, sarebbero stati tardivi, con la tac effettuata 91 minuti dpo l’arrivo in ospedale. Il ragazzo è quindi morto ad agosto. Una morte probabilmente dovuta proprio a quel ritardo successivo al tempestivo intervento di Papappicco e del suo equipaggio del 118.

Un chiaro pretesto per punire, per dare l’esempio, seguito persino da una circolare del direttore generale della Asl di Bari che aveva tutta l’aria di essere una minaccia agli altri dipendenti dell’azienda sanitaria: se parlate coi giornalisti potreste essere licenziati. I chiarimenti successivi sul senso di quella circolare non cambiano di una virgola la gravità di quanto successo. Il giudizio del Collegio arbitrale, in cui Antonio Dibello, a capo di entrambi i medici, probabilmente sperava per ristabilire la sua leadership, non ammette repliche. È chiaro e minuzioso.

Sì, perché a ripristinare la democrazia ci ha pensato chi era stato chiamato a condannare. I componenti dell’organismo regionale, infatti, non si sono limitati a dire che per un assurdo vuoto normativo Papappicco e quindi tutti gli altri medici con il suo stesso contratto di lavoro non possono essere giudicati né dalla Asl né da loro. Hanno ugualmente espresso un’assoluzione con formula piena. Troppo facile sarebbe stato cantare vittoria perché la legge italiana è un colabrodo pieno di cavilli. Persino i componenti del Collegio si sono accorti che quel procedimento era carta straccia.

“Pur dovendo constatare nel presente procedimento la prevalente valutazione negativa espressa dagli organi direzionali amministrativi della Asl di Bari in merito all’analisi della prestazione professionale resa dal dottor Francesco Papappicco nelle circostanze fattuali in esame, si deve rilevare che, dalla documentazione amministrativa della Asl di Bari versata in atti dal medico incolpato all’udienza del 9 novembre 2015, si evincerebbe una contraddittorietà delle valutazioni tecnico-amministrative espresse dalla Asl nel caso in esame nei confronti dell’operato di Papappicco. E ciò considerato che, in contrasto con i capi di incolpazione di cui al presente procedimento, il successivo procedimento disciplinare, avviato sempre per gli stessi avvenimenti, si concludeva invece senza dar luogo ad alcun procedimento disciplinare nei confronti del predetto medico, ritenuto che le giustificazioni addotte appaiono accettabili in ordine alla gestione emergenziale del paziente in ragione delle condizioni ambientali dell’evento e che il pur ingiustificabile breve ritardo operativo di circa 4 minuti non avrebbe determinato nel caso specifico aggravamento o peggioramento delle condizioni del paziente assistito”.

Una macchinazione mal pensata e riuscita peggio in cui, così come abbiamo sempre sostenuto con documenti e registrazioni, non certo per la simpatia nei confronti dei due stimati professionisti, ad uscirne malconcio è l’incoerente responsabile del 118 barese Antonio Dibello. Si era dimesso il 3 agosto proprio per il polverone sollevato dai due medici, fermo restando poi essere riabilitato dalla dirigenza della Asl di Bari.

Questa storia ci ha insegnato un paio di cose fondamentali. La libertà di espressione e di critica è un valore per cui vale la pena lottare, anche con metodi poco ortodossi come uno sciopero della fame o le catene, se necessario. In tal senso la lezione di Francesco e Francesca non ha pari. C’è poi un fatto niente affatto trascurabile, che meriterebbe gli opportuni approfondimenti. Domenico Martimucci non è morto in seguito alla cure assolutamente pertinenti garantite dal medico della postazione del 118 di Gravina. In ogni caso la tac, sul ferito più grave di quella tragedia, è stata fatta 91 minuti dopo il suo arrivo in ospedale. Abbiamo riposto ancora una volta dalla parte giusta la nostra fiducia. Non si può sperare di essere in mani migliori di quelle dei due medici “ribelli”, non tanto per la loro abnegazione e serietà, quanto per la determinazione dimostrata all’Italia intera nel pretendere il meglio per sé e per i propri pazienti, anche a rischio del proprio posto di lavoro. Chapeau.