Li ho cercati per organizzare feste e proteste, sventolare bandiere e sapere della prossima manifestazione contro i Matarrese. E mentre ne intervistavo uno, gli altri andavano negli spogliatoi a minacciare i calciatori. Certo, nessuno dei minacciati è stato un cuor di leone, ma voi che avreste fatto? C’è chi ha continuato senza denunciare e chi si è fatto venire lunghi infortuni prima di scappare da Bari e dal Bari.

Loro, i tifosi, entravano quando volevano negli spogliatoi io, invece, dovevo aspettare nell’anticamera per fare la solita interviste. Parole scontate mentre in campo e fuori succedeva di tutto. E noi, i giornalisti dalla lunga esperienza e dalla penna illuminata come un fumogeno in curva, continuavamo a farneticare, a dare voce agli indignati del tifo.

I tre erano gli unici a riuscire a mettere insieme un centinaio di persone in un paio d’ore. Li ho sempre cercati perché le altre teste della nord non erano in grado di simili raduni. Immagini scarne per la mia telecamera. Probabilmente gli altri erano veri tifosi, quelli che ancora sanno dove finisce il calcio e iniziano i crimini; quelli secondo i quali il pallone resta il pallone, ma la vita e il lavoro sono un’altra cosa. A loro e a chiunque crede ancora nel calcio chiedo scusa, per non aver capito e, in alcuni caso, aver fatto interviste con gli occhi bendati. Alla fine, però, mi faccio una domanda: la società in tutto questo che ruolo aveva? Com’era possibile un rapporto così ravvicinato negli ambienti blindatissimi dello stadio?

10 maggio 2012

Antonio Loconte